Politica tra dignità e coerenza

Quando in politica vengono mosse le pedine per costringere l’avversario a subire lo scacco matto, il Paese inizia a viaggiare a due velocità e su strade divergenti la cui distanza aumenta di ora in ora.

Da una parte i “big” del Parlamento che curano il loro aspetto per apparire impeccabili alle conferenze stampa, oppure alle interviste di strada, e ripassano la parte che reciteranno davanti ai microfoni. L’alibi, la scusa per giustificare i motivi alla base delle scelte fatte, è diretto ai cittadini che marciano invece sull’altra via senza curarsi troppo di quel che accade alle Camere. Un conflitto combattuto tra i banchi parlamentari e dagli sconfitti eccellenti (come Giuseppe Conte); una battaglia alimentata da un movimento mediatico assente nella critica, così come nell’indagare le ragioni di sgambetti e clamorosi cambi di bandiera.

I grandi mutamenti dell’atlante geo-politico, come i sostegni improvvisi a leader ufficialmente sono fuori dai giochi, seguono meccanismi interni alle stanze del potere e faticano a riscontrare entusiasmo tra le persone impegnate a sopravvivere giorno dopo giorno.

Sapremo un dì lontano quali sono state le ragioni reali che hanno condizionato il cambio al vertice di Palazzo Chigi, e riusciremo a comprendere il machiavellico piano che ha dettato le mosse di Renzi a favore di Draghi, ma per adesso dobbiamo accontentarci dell’usuale raffica di retorica somministrata quotidianamente a noi impotenti cittadini/elettori.

In un attimo, nel giro di pochissimo tempo, siamo passati da un governo definito “giallo-rosso” guidato da un avvocato del popolo (precedentemente a capo di un esecutivo “giallo-verde”) a una compagine “azzurro-verde-arancione-rossopallido-rossoverde-giallo” con alla guida un importante banchiere. Una mutazione di pelle non indifferente e orchestrata con ampie dosi di tatticismo da Matteo Renzi: un Matteo che non ha fallito laddove ha tentato invano l’altro Matteo (Salvini).

Conte avrà certamente maturato una profonda inquietudine nei confronti di chi porta il nome “Matteo”, ma lo stesso Zingaretti ha buone ragioni per guardarsi le spalle. Il segretario democratico deve infatti preoccuparsi di non finire sulla parete del salotto renziano dedicata ai trofei, in buona compagnia con Letta, Marino e l’ultimo presidente del Consiglio. Azzerato il governo, l’ex sindaco fiorentino può ora occuparsi di distruggere il partito di provenienza con l’aiuto delle correnti amiche interne al Pd.

Resta da chiedersi quale sia stata la vera ragione che ha portato al cambio dell’esecutivo. Draghi di certo rappresenta un certificato di garanzia per il settore bancario e soprattutto della finanza mondiale, poiché notoriamente determinato nell’affrontare i problemi, sia quando occorre tagliare che quando si debba invece spendere. Trovato l’accordo politico tra i partiti finisce lo spazio dedicato alla partecipazione, forse anche alla trasparenza, e i tempi della diretta streaming durante la trattativa Bersani-Crimi sono molto lontani. La salita del professore al vertice del potere era nell’aria da tempo, ma rimane inspiegabile la corsa della Destra e della Sinistra al suo cospetto. Altrettanto bizzarra è la sintesi politica che il governo Draghi si è dato: la tutela dell’ambiente, forse da interpretarsi esclusivamente nel rilancio della green economy (non certo nella strenua difesa di boschi, aria e mare).

La Lega vanta un profondo legame con Trump e Bolsonaro. Unione ideale con due politici diametralmente opposti alle visioni ecologiste di Greta Thunberg, anzi spesso generosi nel dedicare sfottò e insulti alla giovane ambientalista svedese. Forza Italia ha recentemente scoperto una sensibilità animalista, ma tra produzione e Natura non ha mai manifestato dubbi a schierarsi con il primo dei due termini.  Mettendo le grandi opere sul piatto, ponte sullo stretto e Tav, il fronte parlamentare sinceramente ecologista si riduce a qualche decina di senatori e onorevoli.

Renzi invia lettere ai giornali cercando di costruire intorno a sé l’immagine del salvatore della Patria, dando libero sfogo alle tentazioni narcisistiche represse a fatica durante la vita del Conte bis. Viceversa, al popolo progressista rimarrà per sempre impressa nella mente l’immagine di un ex premier che silenziosamente, e tenendo la mano della sua compagna, esce dalla scena politica romana per tornare a insegnare all’università. Una fotografia dolorosa per alcuni e che inevitabilmente riemergerà ogniqualvolta le telecamere inquadreranno ministri salviniani vicino a colleghi democratici e di LeU.

Il Matteo di Italia Viva è riuscito ad affondare un governo che ha gestito (tra errori e successi) un anno terribile, segnato dalla continua emergenza sanitaria. Malgrado le competenze regionali concorrenti, e la svendita della Sanità attuata negli scorsi anni, il nostro Paese ha retto più di altri alla tragedia portata dal Covid19, ma l’arrivo del Recovery ha sconvolto ogni equilibrio politico.

Renzi verrà ricordato per tanti impensabili gesti retti dall’incoerenza assoluta, per i voltafaccia e la curiosa somiglianza a Mr. Bean, ma soprattutto per aver permesso a Berlusconi di tornare uomo di governo, dopo la condanna e l’interdizione ai pubblici uffici, e alla Lega di ricomporsi grazie all’assegnazione di alcuni ministeri. Uno statista spregiudicato non deve essere necessariamente anche sleale e neppure privo di qualsiasi ideale: la vera intelligenza politica è molto distante dall’opportunismo renziano.

Ci sono momenti in cui votare, pur con il rischio di far salire il Cavaliere Nero al Quirinale, è l’unica via che riconduce la Politica sulla via della dignità e della coerenza. 

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