Partiti senza classe

La selezione della classe dirigente continua ad essere un tabù. Se nella Prima Repubblica, quando esistevano i partiti politici e le classi dirigenti qualificate e autorevoli – pur senza glorificarle tutte, come ovvio e scontato – le candidature ai vari livelli istituzionali erano il frutto di lunghe mediazioni e confronti all’interno dei partiti di riferimento. Con il tramonto di quei partiti e con una classe dirigente modesta e mediocre adesso tutto si è complicato. Con il cosiddetto “nuovo corso”, due sono state le modalità prescelte. Da un lato la designazione dall’alto del padrone/capo/guru del partito. Che, di fatto, è un partito personale. O meglio, un cartello elettorale funzionale solo e soltanto alla distribuzione del potere, alla “nomina” dei candidati e alla compilazione delle liste. Dall’altro, i partiti/cartelli elettorali formalmente più moderni, hanno individuato le primarie come una sorta di dogma laico per selezionare la classe dirigente. Che, detto fra di noi, è un semplice strumento burocratico e statutario che nel Pd si è trasformato progressivamente in una sorta di totem. Al punto che qualche simpaticone individua proprio nelle primarie la ragione fondante dello stessa presenza del partito nell’agone politico. Non a caso, anche durante una drammatica pandemia che continua a mietere vittime e paura e preoccupazione nella opinione pubblica, sentiamo ancora che qualcuno sostiene che, senza la celebrazione delle primarie, non si può procedere alla selezione della classe dirigente. Nel caso specifico, la scelta del candidato a sindaco di Torino da parte del Partito democratico.

Ora, al di là delle mode e dello scorrere delle varie esperienze politiche ed organizzative, c’è una sola strada che si può e si deve percorrere. Ed è quella della assunzione di responsabilità politica dei gruppi dirigenti dei partiti. O di ciò che resta di loro. Senza questa assunzione di responsabilità, il rischio è sempre lo stesso. E cioè, o ci si affida alla nomina da parte del capo/padrone di turno oppure ci si rifugia in escamotage organizzativi singolari e poco decifrabili – penso ai 5 stelle – oppure alle cosiddette primarie che, francamente, sono diventate una strada incontrollabile, foriera di mille equivoci e carica di perplessità.

Ecco perché, a cominciare proprio da Torino, è arrivato forse il momento che i partiti riscoprano la loro credibilità, il loro ruolo e la loro funzione vera nella società. Verrebbe da dire, “se non ora quando”?

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