VERSO IL VOTO

Comunali, urne in autunno

Imminente la decisione del Governo Draghi: le elezioni slitteranno a fine settembre, forse addirittura a ottobre. Ampia convergenza tra i partiti di tutti gli schieramenti, persino la Lega non fa più barricate. Nel centrosinistra il nodo dell'alleanza Pd-M5s

Le elezioni amministrative sembrano sempre più destinate a scivolare dalla primavera verso la fine dell’estate se non a inizio autunno. A rivoluzionare il calendario c’è ovviamente la pandemia, con gli allarmi e le previsioni sulla variante inglese e altre mutazioni, c’è la campagna vaccinale con tutti i problemi a cominciare dalla scarsità di vaccini, ma c’è anche quella tattica politica e quell’incrociarsi di interessi elettorali con la questione sanitaria che pure hanno il loro peso nella decisione attesa.

Dovrebbe essere questione di una settimana, dieci giorni al massimo, e il decreto per fissare la data del voto e di conserva quello dell’apertura dei cosiddetti comizi elettorale, sarà uno tra i primi atti del Governo di Mario Draghi. La scelta del giorno in cui andare alle urne per eleggere i sindaci e le assemblee in molte delle più grandi città del Paese si dice sia uno tra i cinque dossier più impellenti sul tavolo del nuovo presidente del Consiglio. Come da pressi il ministro dell’Interno consulterà le forze politiche, ma negli ultimi giorni si sta facendo avanti con forza l’ipotesi che Luciana Lamorgese non troverà spessi muri contro l’ipotesi di un rinvio, probabilmente tra fine settembre e ottobre, vista con favore dal Quirinale. Le indiscrezioni trapelate nei giorni scorsi scorsi dalla Prefettura di Roma, che indicavano nel 13 giugno la data probabile per la chiamata alle urne (e al 27 il ballottaggio), sono state presto superate dagli eventi e allo stesso modo anche gli uffici elettorali di Napoli hanno rallentato le fasi preparatorie.

Fino a poco tempo fa, oltre a Fratelli d’Italia ancora ferma sulla richiesta delle consultazioni in primavera, a chiedere di votare a scadenza naturale era anche Matteo Salvini. Oggi la posizione della Lega, fors’anche in virtù dell’essere in maggioranza a sostegno dell’esecutivo Draghi risponendo all’appello di Sergio Mattarella, si è ammorbidita. Il Capitano e i suoi non alzeranno le barricate per avere i seggi a maggio, ormai è certo. Lo stesso capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, ragionando con i suoi della questione, ha lasciato ampi spazi di apertura per la soluzione, di fatto, indicata dal Colle quando il Capo dello Stato aveva escluso, causa situazione sanitaria, il ritorno alle urne per un nuovo Parlamento. Politiche o amministrative sempre elezioni sono e chiamando al voto i cittadini di Roma, Milano, Bologna, Torino e altre grandi città si muovono milioni di persone. Nel centrodestra, Giorgia Meloni a parte, non si scalpita, tantomeno lo fa Silvio Berlusconi che con un po’ di mesi di tempo conta di incassare il risultato del suo sì incondizionato a Draghi e i tre ministeri portati a casa. Lo stesso Salvini, se ha da mesi il “suo” candidato per Torino nel civico Paolo Damilano, non altrettanta celerità il centrodestra l’ha mostra fino ad ora per Milano e, soprattutto per Roma dove la partita è del tutto aperta.

E che fretta potrebbero avere i Cinquestelle? Terremotati da voti contrari e conseguenti espulsioni, con una sindaca, Chiara Appendino (peraltro autosospesa dopo la condanna per la vicenda Ream), che non si ripresenta e al posto della quale ancora non hanno deciso chi candidare e una, a Roma, che chiede l’investitura di Rousseau allarmata dall’accordo con il Pd pronto a far correre l’ex ministro Roberto Gualtieri. Proprio a sinistra erano stati azionati con largo anticipo i freni sulla corsa verso il voto in primavera. Il capogruppo di Leu Federico Fornaro, esperto e studioso di meccanismi elettorali, richiama al “senso di responsabilità” di fronte alla situazione sanitaria e rammenta come i rischi legati alla pandemia non si possano considerare ristretti ai giorni delle votazioni, ma occorre considerare i due mesi precedenti con la raccolta delle firme e la campagna elettorale nonché le due settimane successive per il turno di ballottaggio.

Un quadro mutato piuttosto rapidamente sul fronte del centrodestra di governo, ma che già era ben definito su quello opposto anche per quelle ragioni tattiche cui si accennava. Il Pd non solo è ancora in ritardo sulle candidature, a partire dal nodo torinese non ancora affatto sciolto, ma ha bisogno di tempo, mesi, per capire se e come l’alleanza con i Cinquestelle si potrà declinare alle comunali. La stessa decisione di formare l’intergruppo parlamentare con le forze del passato esecutivo, senza ovviamente Italia Viva, aldilà delle dichiarazioni di rito, per molti deve essere ancora compresa appieno e sgombrata da ombre di manovre così come di possibili conseguenze non volute.

Il tema dell’alleanza tra i dem e i grillini, peraltro ormai spaccati e in odore di scissione, resta tra aspirazioni e timori, accelerate e frenate. Torino, in questo, è volente o nolente una piazza calda, qualunque sia la formula finale. E se si può spingere più in là la data delle elezioni, tanto meglio sia per i grillini, sia e più ancora per i dem. Il centrodestra, nel frattempo, ha il suo candidato (pur non ancora ufficializzato) che è già partito, con migliaia di manifesti a tappezzare la città. Più che una corsa, quella di Damilano e di chi sarà il suo avversario per il centrosinistra, si prospetta come una maratona. Questione di un po’ di giorni e sarà chiaro se si dovrà cambiare passo.

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