LOTTA AL COVID

Caccia alle varianti del virus, "con i vaccini arma efficace"

Protocollo della Regione ad Asl e medici per ricercare e sequenziare le mutazioni sul territorio piemontese. Di Perri: "Aspettiamocene altre dopo quelle già scoperte". Ogni giorno circa l'1 per cento dei tamponi positivi verrà analizzato nei quattro laboratori specializzati

Non se, ma quando. L’arrivo e la diffusione delle varianti del Covid, oltre a quella inglese già comparsa sul territorio regionale, non è questione di probabilità, ma di tempo. E il tempo è cruciale per scoprire le mutazioni, sequenziando il virus, con la loro accentuata potenzialità diffusiva, ma anche con i più gravi effetti dal punto di vista clinico, senza purtroppo tralasciare l’eventualità che alcune di esse possano cercare di sfuggire agli effetti del vaccino.

Per questo, tra pochissimi giorni, le Asl, gli ospedali e i medici di medicina generale riceveranno una serie di linee guida, prescrizioni alle quali attenersi per far scattare immediatamente la richiesta di sequenziamento sul virus inviando i tamponi nei quattro centri attrezzati per questo tipo di analisi. In meno di una settimana il gruppo di lavoro insediato al Dirmei e coordinato dal direttore delle Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia Giovanni Di Perri, di cui fanno parte Elide AzzanValeria GhisettiEmilpaolo MannoPietro PrestiStefano TaraglioPaolo Vineis e Gianfranco Zulian, ha stilato un protocollo che di fatto anticipa le indicazioni del ministero. 

“Aldilà delle sorveglianza fatta per conto dell’Istituto Superiore di Sanità, abbiamo deciso di farne una quotidiana sul territorio regionale”, spiega Di Perri. “Dobbiamo tenere sotto controllo le varianti già note, individuandole tempestivamente, senza tralasciare la concreta eventualità che se ne presentino altri in tempi piuttosto brevi”. Per fare questo e visto che non è possibile sottoporre a sequenziamento ogni tampone effettuato, servono quelle indicazioni che saranno date all’intero sistema sanitario piemontese. “Uno dei casi previsti è quello di un’infezione contratta da un soggetto vaccinato. Può capitare – osserva l’infettivologo – e però bisogna subito capire se si tratta del virus, diciamo, normale oppure c’è di messo una variante? Bisogna accertarlo nel più breve tempo possibile”. 

Altro caso indicato riguarda “le reinfezioni, ovvero chi ha già avuto il Covid e lo contrae nuovamente, pur avendo un rischio dello 0,4% di riammalarsi”. C’è poi la necessità di “accertare approfonditamente la possibile presenza di un virus mutato in casi di malattia grave in persone giovani, visto che esistono ipotesi di maggior virulenza in alcune delle varianti fino ad oggi individuate”. Il tracciamento sarà anche “mirato a capire se nelle fasce di età scolastica il virus con alcune sue mutazioni può trovare una maggiore ospitalità e, vista la potenzialità diffusiva dei giovani, assumere tempestive misure di contenimento”. C’è poi il caso dei cluster, dei focolai anche piccoli “da mettere subito sotto sorveglianza sotto il profilo del sequenziamento”.

Un piano ben diverso, assai più complesso e mirato, ma soprattutto costante, rispetto alla sorveglianza disposta dal ministero che ha portato a richiedere al Piemonte l’invio a Roma, venerdì scorso, di 76 tamponi senza un criterio selettivo. Saranno, invece, ogni giorno tra l’1 e il 2 per cento dei tamponi eseguiti sul territorio regionale, selezionati in base al protocollo regionale, a venire analizzati nei quattro laboratori, ovvero quello dell’Amedeo di Savoia, dove è attesa entro marzo una nuova apparecchiatura, quello dell’Irccs di Candiolo, dell’Istituto Zooprofilattico e dell’Università del Piemonte Orientale di Novara. Lì si scopriranno eventuali cambiamenti nella sequenza del Covid. “Alcuni sono oramai delle stimmate, come nel caso della variante inglese, di quella sudafricana, di quella brasiliana – spiega Di Perri –. Ma vedremo che altre ne verranno. Il problema sarà il monitoraggio una volta che saremo vaccinati in molti. Allora quel che continuerà a circolare occorrerà sorvegliarlo bene per evitare che si crei un virus capace di resistere al vaccino”. Al momento, tuttavia, c’è già anche “il rischio che l’ipotesi di una maggiore gravità clinica, oltre alla già accertata maggior contagiosità, della variante inglese possa trovare purtroppo conferma”. E se di fronte alla crescita, in questi ultimi due giorni, dei ricoveri così come dei trasferimenti dei pazienti in terapia intensiva, l’infettivologo parla di una “fase di stabilità ad alti numeri” non certo rassicurante, la rapidità dell’applicazione del sistema di sequenziamento del virus va di pari passo con la necessità di altrettanta celerità della campagna vaccinale.

Ieri gli ultraottantenni che hanno ricevuto la prima dose sono stati 3.475, mentre domenica il primo giorno di vaccinazione erano stati 3.296. La fine del primo ciclo di inoculazioni è prevista entro marzo e per evitare che nessuna dose vada sprecata è stata predisposta, come spiega il commissario dell’Unità di Crisi Antonio Rinaudo, una sorta di panchina, ovvero una quota di anziani convocati oltre il numero previsto che possono subentrare agli assenti, ma nel caso non ci siano defezioni verranno comunque vaccinati anche loro. “Proprio più si procede con le vaccinazioni – osserva Di Perri – più è importante sorvegliare il virus per individuarne varianti note e, magari, purtroppo scoprirne qualcuna nuova”.  

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