Letta in mezzo alle correnti

Il discorso di investitura di Enrico Letta a segretario nazionale del Partito democratico è stato indubbiamente importante e significativo. Al di là dello stile, sobrio ed equilibrato, non sono mancati i punti salienti attorno ai quali ricostruire l’identità del partito da un lato e il profilo della coalizione da rifondare dall’altro. Due elementi costitutivi che non possono passare sotto silenzio e che meritano di essere approfonditi e ulteriormente analizzati.

Ma c’è un aspetto, altrettanto importante, che richiede un supplemento di riflessione e che, del resto, è stato al centro delle plateali e rumorose dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del Pd. Ovvero il ruolo che le intramontabili correnti nel Pd avranno nel nuovo corso inaugurato dal ritorno di Letta al vertice del partito. E proprio su questo versante abbiamo già letto una infinità di commenti e di opinioni dopo le parole di Letta sulla necessità di non ricondurre tutto il dibattito e il confronto del Pd all’interno della dinamica, grigia e sempre più stantia, del sistema correntizio.

Correnti che, a differenza di quello che capitava tanti anni fa in un altro grande partito popolare e di massa, cioè la DC, non hanno più oggi alcuna valenza politica e culturale ma si sono progressivamente trasformate in luoghi utili ed indispensabili per la sola distribuzione e l’accaparramento del potere all’interno del partito e nelle istituzioni. All’interno di un quadro che purtroppo si è consolidato nel tempo al punto da essere uno degli elementi, se non l’elemento, determinante per la fine anticipata del mandato di quasi tutti i segretari nazionali del Partito democratico. Letta, che pur conosce benissimo l’articolazione e la geografia correntizia del suo partito, ha detto durante il suo intervento in Assemblea che non ha ancora ben capito in che cosa consiste la ragion d’essere delle correnti nel Pd.

Ma, al di là delle ragioni di circostanza inerenti il superamento delle correnti e l’azzeramento delle loro organizzazione, tutti sanno benissimo che difficilmente saranno sciolte per “decreto” o, al contrario, si autoscioglieranno. Non capiterà, com’è facile prevedere, né l’una e né l’altra cosa. Ed è proprio su questo versante che, almeno per quanto riguarda l’organizzazione interna al partito, si misurerà concretamente la “cura” di Enrico Letta. Ovvero, per parlarci chiaro, le correnti torneranno ad essere luoghi di elaborazione culturale e politica com’era stato pensato e disegnato all’inizio dell’esperienza del Pd oppure - dopo una seppur comprensibile quiete e un altrettanto naturale silenzio temporaneo dei molteplici gruppi - le correnti continueranno ad essere quelle che abbiamo conosciuto persin troppo bene negli ultimi tempi, e cioè luoghi di fatto impenetrabili ed impermeabili dediti alla sola conservazione dei propri adepti e, appunto, funzionali alla sola distribuzione del potere? Su questo si giocherà anche, ma non solo come ovvio, la sfida del progetto politico lanciato da Enrico Letta. Perché il nodo delle correnti, come quasi tutti sanno, si intreccia con la possibilità di dar vita ad un partito autenticamente aperto, plurale e realmente democratico. E, soprattutto, con l’autorevolezza del suo gruppo dirigente, dal Segretario nazionale in poi, di poter dispiegare sino in fondo il progetto politico del partito senza mediazioni infinite e risse continue all’interno del partito stesso. Perché le correnti, infine, non sono una semplice articolazione organizzativistica ma il nucleo centrale di come può e dovrebbe essere un partito democratico, plurale, riformista e anche collegiale. Vedremo.

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