Un lavoro poco intelligente

Di qualunque argomento si parli, qualsiasi analisi si faccia, la questione da cui ripartire è: creare lavoro. Lavoro stabile, lavoro che crei un futuro ai nostri figli. Non solo debiti, anche se necessari in questi momenti. Ho sentito nei giorni scorsi un parlamentare del centrodestra dire che ogni mese è necessario uno scostamento di bilancio per dare “ristori”. Mi sembra una follia. Pur di procacciarsi un qualche voto in più si sta perdendo di vista il concetto di libertà di impresa che ha i suoi rischi di mercato e lo si confonde con l’assistenzialismo elettorale all’impresa.

La pandemia ci dice che è finita la stagione del “mettersi in proprio”, dell’aprire un bar ogni dieci metri e vivacchiare facendo alcune centinaia di caffè al giorno e fornire un piatto surgelato alle migliaia di dipendenti dei servizi e pubblici che oggi stanno in smart working. Primo punto del “tutto si tiene”: l’abuso dello smart working, che in questa fase non è lavoro intelligente ma qualsiasi lavoro si faccia se è possibile farlo da casa, si sta a casa e basta.

Ridare fiato all’economia del commercio, ovvero ricreare posti di lavoro, al netto delle zone rosse e sperando nell’arrivo delle quantità di vaccini annunciate e non ancora viste, significa utilizzare lo smart working davvero come “lavoro intelligente” soprattutto nel campo dei servizi e degli enti pubblici. Non è lavoro intelligente fare da casa attività che avvicinano utente e erogante servizio.  Siamo una società anziana e molte delle procedure che dovrebbero semplificare la vita invece la peggiorano, soprattutto agli anziani. Pensiamo allo Spid che ha una procedura complessa (ma che fa guadagnare le aziende che forniscono il servizio). Prima dello Spid, per entrare nel sito Inps o dell’Agenzia delle Entrate bastava il codice fiscale e il pin, oggi serve una procedura su tre livelli con l’assistenza di una società di servizi, a pagamento.

Allora se lo chiamiamo “lavoro intelligente” esso lo è davvero se sa stare vicino ai cittadini. Un lavoro intelligente è stare a uno sportello, parlare con le persone, assisterle, aiutarle, fornirle il servizio e il lavoro intelligente consiste in avere sistemi informatici veloci, sinergici, efficaci. Insomma avere  lo sportello funzionante.

Informatizzare e scambiarsi dati tra gli enti pubblici non significa dover abbandonare il territorio, anzi dovrebbe diventare un servizio ancora più capillare. Pensate quanti servizi potrebbe fornire un impiegato dell’anagrafe o di una banca, o di una società che fornisce Servizi con un portatile, una stampante in una postazione volante in un grande centro commerciale, in un gazebo al mercato rionale.  Riutilizzo delle risorse e diffusione sul territorio. Ma no, si preferisce delegare alle edicole (che con il calare dell’utilizzo della carta stampata stanno chiudendo sempre più) piuttosto che riconvertire un dipendente pubblico o dei servizi privati come banche, assicurazioni.

Oltretutto, nel “tutto si tiene”, una capillarità diffusa ridarebbe fiato al commercio di prossimità, alla ristorazione diurna ricreando socialità e probabilmente aiuterebbe a sconfiggere le nuove povertà che avanzano. Una povertà che fa un balzo in avanti nell’anno della pandemia e tocca il record dal 2005. Un italiano su dieci si trova in grave difficoltà economica. In generale l'incidenza della povertà assoluta cresce soprattutto tra le famiglie con persona di riferimento occupata (7,3% dal 5,5% del 2019): si tratta di oltre 955mila famiglie in totale, 227mila famiglie in più rispetto al 2019. Tra queste oltre la metà ha come capofamiglia un operaio o assimilato, un quinto un lavoratore in proprio.

Ricreare lavoro per il ceto medio-basso e il lavoro autonomo sono i due indici di priorità su cui lavorare. Quindi non solo ricerca dell’eccellenza nei vari campi in cui  già primeggiamo, automotive, aerospazio, agricoltura in primis, ma anche dove abbiamo perso terreno come nel turismo e nella cultura; e poi ci serve anche una dose di “quantità di lavoro dipendente” oltre a molta “qualità”.

Occorre spiegare nelle nostre aule universitarie che ogni lavoro è dignitoso e attraverso: prima lo studio e poi il lavoro si deve ripristinare la scala sociale per tutti. Se gli imprenditori, oggi pensano solo al recupero del fatturato, del profitto, anche attraverso l’aumento della precarietà eccelleranno solo nell’ipocrisia del dire una cosa e farne un’altra.

Nel “tutto si tiene” diventa emblematico lo sciopero dei lavoratori Amazon per cui stando in smart working, in Dad, in cassa integrazione e in generale chiusi in casa perché zona rossa, aumentano i consumi on line. “Siamo come a Natale” dice preoccupato un lavoratore. Quello delle consegne a domicilio è un lavoro faticoso ma la lotta per gestire l’algoritmo e farlo diventare più umano inserendogli parametri di dignità economica, riposo e sicurezza deve essere l’obiettivo sindacale. In Italia non si è ancora compreso che il commercio on line è una branca della logistica che complessivamente sta diventando un comparto fondamentale in quanto le merci devono muoversi sempre più velocemente e in tutto il mondo, sviluppando anche attività collaterali e di indotto legate alla gestione informatica e alla tracciabilità del prodotto. Lavori nuovi che si sta affermando al di là della pandemia che ne accentua la prospettiva e su cui bisogna lavorare per creare lavoro. Un lavoro nuovo che può anche incrociare il “vecchio” commercio di prossimità che deve evolversi  (sopratutto deve smetterla di lamentarsi, pagare le tasse e innovarsi) non vendendo solo più la merce esposta ma integrandola con la vendita online diventando terminali della pronta consegna a domicilio. Fca, e non è arrivata per prima, ormai ti vende l’auto online e te la consegna sotto casa. Se il commercio non ha capito che aspettare il cliente in negozio è solo più una parte dell’attività… non gli resta che chiudere!

Per fare un esempio: ci sono pizzaioli e ristoratori (ma vale per tantissimi settori del commercio) che si lamentano, ma ci sono pizzaioli e ristoratori (quelli che già prima avevano un prodotto di qualità e non vivevano ai margini del mercato) che anche durante la pandemia si mantengono con l’asporto perché hanno spirito di adattamento, spirito d’impresa, spirito di rinnovamento. Non attendono gli eventi ma li precorrono e governano.

Ecco, uscire dalla pandemia, non aspettando solo il vaccino che è fondamentale ma pensando che questo Paese rinascerà se ognuno di noi, con la sua attività, soprattutto degli imprenditori, dei commercianti, dello Stato, del bene pubblico, della Gdo, della logistica, supererà la soglia della sua attività e entrerà nell’agorà per incontrarci, per scambiare idee e prodotti nella piazza.

Sennò la prospettiva rimane quella di affidarci, per arginare l'aumento della povertà agli ultra sessantacinquenni (quelli che ci saranno ancora) per i quali le condizioni di vita rimangono sostanzialmente stabili. Anche nell'anno della pandemia, la presenza di anziani in famiglia – per lo più titolari di almeno un reddito da pensione garantisce entrate regolari, infatti la percentuale di famiglie con almeno un anziano in condizioni di povertà è pari al 5,6% (sostanzialmente stabile rispetto al 2019 in cui era pari al 5,1%); quelle dove gli anziani non sono presenti l'incidenza passa invece dal 7,3% al 9,1%.

Meditate… stupefacenti tifosi dei ristori.

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