VERSO IL VOTO

Patto Letta-Conte sui Comuni, Torino ancora sulla graticola

L'impegno è quello di trovare un candidato di sintesi, ma sotto la Mole l'abbraccio tra Pd e M5s è più difficile che altrove. Il segretario dem tornerà alla carica con Saracco, senza però forzare. Il link tra Lo Russo e Meloni, il peso di Lepri e il ruolo di Berruto

Il miele dell’incontro tra Enrico Letta e Giuseppe Conte è fiele per chi di un'alleanza proprio non vuole sentire parlare. Di certo non alle prossime elezioni comunali di Torino. Eppure è proprio quello di cui hanno discusso i due ex premier. “Sulle amministrative c’è la volontà di confrontarsi e trovare soluzioni efficaci. Chi va da solo è meno efficace” ha detto l’ultimo dei due ex presidenti del consiglio disarcionati da Matteo Renzi, definendo il Pd “l’interlocutore privilegiato” del nuovo M5s. La strada è segnata, ma il cammino è impervio. Lo ha fatto capire bene Nicola Zingaretti, tra i favoriti per la corsa al Campidoglio, che ieri ha definito la ricandidatura di Virginia Raggi “una minaccia per Roma”. Un destino condiviso quello tra la prima e l’ultima capitale d’Italia: entrambe guidate da due donne pentastellate, che hanno avuto proprio nei locali gruppi dirigenti dem i principali avversari. Cinque anni a dirsele e a darsele sono difficili da dimenticare; se ne rendono conto anche al Nazareno dove Francesco Boccia – cui Letta ha affidato l’istruzione dei dossier delle principali città al voto, sottraendoli dalle mani dello zingarettiano Stefano Vaccari – ha assicurato ai suoi interlocutori torinesi che nulla sarà deciso senza l’accordo con il partito locale. Chissà se le “affascinanti avventure insieme”, preconizzate da Letta dopo il rendez vous con Conte, non escludano proprio Roma e Torino dai propri itinerari.   

Nel quartier generale del neo segretario il ritorno alla carica sul rettore del Politecnico Guido Saracco è considerato pressoché scontato. Il suo profilo è del resto quello che meglio si avvicina a quel candidato di sintesi immaginato a Roma in larghi settori di Pd e Cinquestelle. Ma se fino a quest’autunno il suo nome si è scontrato con resistenze più o meno palesi, ora che nel Pd locale si è ulteriormente consolidata la posizione di Stefano Lo Russo potrebbe trovarsi di fronte un vero e proprio muro. Il Partito democratico a Torino reclama la propria autonomia decisionale, inoltre in queste ultime settimane hanno assicurato il sostegno al capogruppo dem in Sala Rossa anche Moderati e Lista Monviso, mentre nel primo partito della coalizione l’adesione più recente è quella pesante del deputato Stefano Lepri, numero uno in Piemonte della componente cattodem, che finora ha tenuto in piedi la segreteria regionale di Paolo Furia.

Se Saracco può diventare il candidato della convergenza tra Pd e M5s (per cui fanno il tifo anche Sinistra Italiana e Chiara Appendino), Lo Russo è l’alfiere del centrosinistra aperto alle esperienze civiche ma serrato (almeno al primo turno) alla pattuglia grillina. È un ginepraio nel quale è sempre più difficile districarsi tra candidati veri o presunti, ballon d’essai e dirigenti in guerra permanente. È un centrosinistra usurato e logorato che dopo vent’anni passati a tentare di emanciparsi dai due ragazzi di via Chiesa della Salute – Piero Fassino e Sergio Chiamparino – ora paga l’assenza di una classe dirigente in grado di prenderne il testimone. È il Pd delle contraddizioni quello di Torino, dove la sinistra abita gli attici in centro e i moderati stanno in periferia.

Se la partita si disputasse a Torino l’incoronazione per Lo Russo sarebbe più vicina, ma il nuovo corso al Nazareno e l’entente cordiale tra Letta e Conte potrebbero complicare le cose. La segreteria dell’ex premier è in gran parte ostile al capogruppo dem: Vaccari (che già bloccò una volta la sua investitura in quella che fu definita la fuga in avanti del Pd torinese), Boccia – tra i teorici più convinti dell’alleanza giallorossa – per non parlare di Anna Rossomando. Più vicini a lui sono certamente Mauro Berruto (che di gettarsi nella mischia non sembra intenzionato) e soprattutto Marco Meloni, vero braccio destro di Letta con cui il rapporto si è consolidato negli anni in cui uno si occupava di università nella segreteria nazionale del partito e l’altro coordinava la squadra di Gianfranco Morgando in Piemonte. Alla fine deciderà Letta il quale non ha ancora preso in mano i vari dossier sulle amministrative. Le priorità sono Roma e Napoli, poi Torino e Bologna. Dieci giorni per decidere. 

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