Partiti tra correnti e capi

Dunque, pare proprio che non esista una “terza via”. Ovvero, i partiti continuano a dividersi rigorosamente, e quasi militarmente, tra “partiti delle correnti” e “partiti del capo”. Ad oggi, non esiste la possibilità di escogitare una terza via, una terza strada, un terzo modello. Ma dobbiamo realmente rassegnarci a questa secca modalità di presenza dei partiti o di quel che resta di loro nella società contemporanea?

Certo, tutti conosciamo – almeno quelli che seguono le vicende della politica italiana – i modelli che disciplinano i vari partiti italiani. Per citarne solo due, da quello del Pd retto e disciplinato quasi militarmente da correnti, sottocorrenti, gruppi e gruppuscoli vari e quello della Lega, dove nella gesta del “capitano” si riconoscono tutti i militanti, gli amministratori e il corpo vero del partito. Per carità, due modelli del tutto legittimi e forse anche compatibili con le dinamiche concrete che si muovono nella società. Ma che si prestano anche, e forse con quasi certezza, a molte criticità.

Ora, credo che sia evidente a quasi tutti che non si possono riproporre i modelli organizzativi del passato perché, molto semplicemente, sono tramontati i contesti “ambientali” che garantivano quei partiti e le rispettive modalità di presenza concreta. Ma, altrettanto ovviamente, non potranno essere a lungo le bande organizzate da un lato o il capo assoluto ed indiscusso dall’altro i due soli criteri organizzativi che disciplinano il ruolo dei partiti contemporanei.

Ecco perché, forse, è arrivato il momento per praticare concretamente una “terza via”. Che può consistere, sostanzialmente, in due elementi costitutivi: garantire una vera democrazia interna al partito con il rigoroso rispetto della collegialità delle decisioni e del ruolo delle minoranze da un lato e, dall’altro, salvaguardare il pluralismo politico nel partito senza trasformarlo in una sorta di gruppi organizzati che finiscono per bloccare ed ostacolare la stessa azione del leader.

Una terza via che potrebbe essere sintetizzata in uno slogan che continua a conservare una bruciante attualità. E cioè, avere un partito di “liberi ed uguali” per riprendere una celebre definizione sturziana e molto amata, citata e praticata da uomini come Carlo Donat-Cattin che hanno vissuto e fatto politica in grandi partiti popolari e di massa ma sempre nel rigoroso rispetto della democrazia interna e del confronto libero e democratico, appunto.

Non sappiamo, ad oggi, come evolverà il confronto politico nei prossimi mesi. Una cosa, però, è certa. I partiti personali, del capo o del guru da un lato e le bande organizzate dall’altro non potranno essere i modelli organizzativi ultimativi e definitivi per gli attori principali della politica italiana che continuano ad essere, seppur con alti e bassi, i partiti politici. Ma per centrare questi obiettivi occorre prima di tutto “esserci” ed “organizzarsi”. Senza appaltare solo a qualcuno la rappresentanza politica nella società contemporanea. Per il bene della nostra democrazia e anche, e soprattutto, per il rispetto della nostra Costituzione.

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