All'automotive manca il pivot

“Vediamo timidi segnali di miglioramento, soprattutto nella metalmeccanica, ma cultura e turismo soffrono ancora moltissimo. Dobbiamo essere realisti, in quanto i fattori di rischio e incertezza restano forti”. E se lo dicono gli industriali c’è da crederci! Non per un’infatuazione verso l’imprenditoria torinese ma perché inclini a fare vedere il bicchiere mezzo vuoto. E infatti a patire di più questa pandemia rimangono i lavoratori della cultura e del comparto turistico e ristorativo su cui i possibili segnali di ripresa potranno vedersi verso l’autunno quando il numero dei vaccinati, si spera, andrà verso l’immunità di gregge.

Inoltre, appunto, dopo tanto urlare “al lupo, al lupo” il consuntivo del 2020 è stato migliore di ciò che si andava sostenendo. Numeri non positivi ma meno tragici del previsto con un industria manifatturiera in cui il 22,2% ha chiuso con un aumento del fatturato e per il 23,6 è rimasto stabile, ovvero per la metà delle aziende non è calato. Mentre il 53,3%ha avuto una redditività di bilancio positiva e il 19,2% ha chiuso in perdita. Quindi l’80” delle aziende non ha perso utili in bilancio. Per fortuna la realtà dei numeri è più positiva degli allarmi che creano allarmismo e sfiducia. Sarebbe una lezione da imparare essere più sobri nella politica degli annunci.

Ma uno spettro, per stringere il campo al comparto automotive, si aggira per l’Italia e il suo nome è Faurecia. Faurecia è una multinazionale da oltre 17 miliardi di fatturato, 122mila addetti, è presente in 102 Paesi ed è leader nella produzione di interni auto, elettronica di bordo (col notissimo marchio Clarion), abitacoli (l’ambizione dichiarata è di costruire l’abitacolo del futuro, ovviamente supertecnologico), componenti e sistemi di alimentazione per l’elettrico e il diesel. Era presente con uno stabilimento in Italia la Faurecia Acoustics and Soft Trims (Ast), realtà che conta 1.820 dipendenti e nel 2019 ha fatturato 385 milioni, che è stato acquisito da Adler Pelzer Group nell’ottica strategica di diventare leader mondiale nel settore dell’acustica automobilistica.

Questa acquisizione possiamo interpretarla come un messaggio inviato all’indotto di Stellantis? Presumibile. Anche se l’ultimo accordo siglato dai board di Fca e Psa ha definito un passaggio industriale importante: la quota del 46% detenuta da Psa nella società, che per i francesi storicamente si occupa di forniture per Interiors, sedili, sistemi audio ed elettronica, sarà suddivisa equamente tra Fca e Psa. Questo fa presupporre che le due aziende che hanno dato vita a Stellantis abbiamo fatto un operazione, si spera, non solo per trarre più dividendo per gli azionisti ma anche per tutelare e ridistribuire nei rispettivi indotti, nazionali, le attività produttive tutelando il lavoro e l’occupazione come dichiarato ai suoi esordi da Tavares. D’altra parte Faurecia, che nel 2019 aveva il 7% di fatturato verso Fca e il 13% con il gruppo Psa, non è presente in Italia

Non dimentichiamo che l’indotto automotive italiano oltre a un forte legame con i costruttori tedeschi ha una “dipendenza” da Fca pari al 37% del fatturato, a cui andrebbe aggiunta una pare di fatturato sicuramente già legata ai francesi di Psa ante fusione. Un vincolo forte a cui bisogna rispondere con più strategie di mercato: 1) Faurecia può diventare un cliente importante per cui lavorare; 2) Attivare processi di fusione di imprese per conquistare fette di mercato automotive mettendo insieme tecnologie e professionalità; 3) Acquisire attività o siti di Faurecia, ma non me li vedo gli imprenditori italiani andare a comprare aziende all’estero. Purtroppo è uno dei limiti del nostro capitalismo malato; 4) organizzarsi attorno a un forte componentista già esistente e Adler sembra avere indicato la via.

In qualsiasi caso occorre fare sistema a partire dal capitale di conoscenza tecnologica e professionale; sostiene Paolo Scudieri, presidente di Anfia: “Per raggiungere gli obiettivi della transizione tecnologica serve la forza di capitali e tecnologie innovative, è per questo che l’aggregazione tra i due gruppi favorirà il processo. La presenza di una grande azienda di componentistica come Faurecia sul mercato italiano rappresenta un punto di riferimento anche per le nostre filiere, ma non ci sono dubbi sulla necessità che vadano fatti accordi specifici importanti con quelle aziende che rappresentano l’eccellenza tecnologica italiana”. Ma soprattutto, “è il pivot di una filiera organizzata, quella francese”, afferma Giuseppe Berta, storico e grande conoscitore dell’automotive. Svolgendo il ruolo di orientamento della filiera. Ecco in Italia manca il “Pivot” dell’automotive che guidi la filiera dell’indotto, la organizzi, la guidi e crei lavoro. Ad esempio, non casuale, la catena del valore transalpina dell’automotive, è “integrata”: la marginalità si gioca sull’efficienza operativa delle aziende che le compongono. Diventa cogente, dunque, l’aggiornamento tecnologico di tutti gli attori coinvolti: è necessario, ad esempio, sincronizzare il meccanismo della fornitura, con ordini automatici. Ciò significa che tutto il mondo delle piccole aziende a valle di quelle più grandi e avanzate deve tenere la stessa velocità evolutiva delle seconde.

Insomma serve una “Faurecia italiana”. Prima c’era Magneti Marelli, ora questa figura manca nel mondo della componentistica auto del Belpaese, che organizzi l’attività di migliaia di supplier minori: “l’orchestratore di filiera”: una società di riferimento per i carmaker, di cui conosce i piani e le strategie di prodotto, e che pertanto è in grado di orientare, a valle, tutta la politica di fornitura delle Case automobilistiche, “distribuendo” il lavoro tra i componentisti. Per tutte le aziende di filiera, l’integrazione rappresenta un valore competitivo, perché consente di evitare gli sprechi, di ridurre gli stock e i tempi di consegna, di ottimizzare la distribuzione e di contenere i costi logistici.

Come si dice sempre per gli accordi sindacali che quando si firma si pensa che sia finito tutto e invece è solo l’inizio. È la gestione delle strategie e accordi firmati il vero punto di partenza e non di arrivo.  È questa la sfida che l’Italia ha davanti: dare un ordine, un ruolo organizzato e coordinato alle aziende dell’automotive. Serve un ruolo e un sostegno del Governo, servono i fondi per l’innovazione tecnologica e la transizione ecologica. Dare un futuro all’industria dell’auto e dare un futuro a migliaia di famiglie e avere un Paese con più benessere.

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