Sindaco, ora conta il nome

Le vicende politiche torinesi in vista dell’appuntamento elettorale di ottobre diventano sempre più intricate. Se è vero, com’è vero, che sul fronte del centrosinistra l’alleanza “organica e strutturale” con il partito di Grillo è sempre più difficile e complessa, per non dire politicamente autolesionistica, anche sul fronte del centrodestra non mancano fibrillazioni continue e punture di spillo tra i vari partiti della coalizione. Ma, al di là della costruzione delle alleanze in competizione che resta un tema in continua evoluzione – come, del resto, capita da sempre – quello che adesso assume una importanza decisiva, se non addirittura determinante ai fini del risultato finale, riguarda il profilo e il nome e il cognome del candidato a Sindaco. E qui non mancano le curiosità e le contraddizioni.

Se nel campo del centrodestra, piaccia o non piaccia, c’è un candidato “civico” forte e competitivo – Paolo Damilano – che, essendo partito ormai da mesi, si è ritagliato un ruolo politico ed amministrativo importante in città e nell’intero territorio torinese, sul fronte del centrosinistra si assiste quotidianamente ad uno spettacolo sempre più deprimente. Ormai è da mesi che ogni giorno, e comprensibilmente, i vertici locali del Pd annunciano che la scelta del candidato a sindaco è quasi imminente. Tra primarie annunciate e poi puntualmente smentite, tra veti personali – sempre più vistosi e plateali – e ricerca della sempreverde novità della società civile, tra offerta di alleanza con i 5 Stelle e altrettanto puntuale smentita, si corre il rischio di arrivare a una candidatura fortemente divisiva che poi non riesce ad essere un punto di riferimento e di aggregazione per molti. E questo per la semplice ragione che, oggi più che mai, il candidato a sindaco è vincente se riesce ad andare oltre il recinto stretto ed angusto della propria coalizione.

Certo, non è affatto facile individuare un candidato unificante quando ci si trova di fronte ad una coalizione così frastagliata e divisa da mille questioni. Ma un fatto è indubbio, per restare nel campo del centrosinistra, forse allargato al partito di Grillo come vuole e desidera la sindaca uscente Chiara Appendino già sin dal primo turno. E cioè, se si vuole ancora investire sulla competenza politica, sul radicamento territoriale e sulla conoscenza dei meccanismi amministrativi, sarà difficile ed arduo continuare a contrastare la candidatura del capogruppo uscente del Pd in Sala rossa Stefano Lorusso.

Dopodiché tutto può capitare, come sempre nella politica locale e nazionale. Ma nella fase attuale è sempre più evidente che il nome del candidato a sindaco di Torino assume, adesso, una importanza decisiva. L’attesa si concentra ormai su questo aspetto più che non sulla definizione delle alleanze a supporto del candidato. Forse è arrivato anche il momento affinché scenda in campo la politica. Cioè quella scienza che ad un certo punto si impone. Al di là dei veti personali di origine correntizia, degli slogan ad effetto, della mera propaganda nuovista, della demagogia a buon mercato e dei soliti giochi di potere. E cioè dell’intramontabile populismo che ha contribuito prepotentemente, dopo le elezioni del 2018, a delegittimare e a corrodere le ragioni stesse della politica e della costruzione, graduale ma necessaria, del “bene comune”. Nel caso specifico, del futuro e della prospettiva della città di Torino e della intera città metropolitana.

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