VERSO IL VOTO

Damilano ancora a bagnomaria, ma quello di Tajani è un bluff

Sulla convocazione del tavolo nazionale pesano le tensioni interne al centrodestra. L'imprenditore però non sembra preoccupato dalla sortita del reggente di Forza Italia. Ai berluscones più che Torino interessa il via libera a Occhiuto in Calabria e Armao per Palermo

Il tavolo del centrodestra per le elezioni comunali tarda ancora ad essere apparecchiato. Giorgia Meloni ha fatto intendere che si siederà solo quando sarà risolta la questione della presidenza del Copasir, il comitato sui Servizi Segreti che la leader di Fratelli d’Italia rivendica per il suo partito spettando quella poltrona all’opposizione, ma che Matteo Salvini con cui i rapporti in questo ore solo a temperatura glaciale, non vuole mollare lasciando al suo posto Raffaele Volpi.

Intanto sullo stesso tavolo, come spiegano all’interno dello stesso centrodestra con un’immagine eloquente, Antonio Tajani intervenendo sul voto di ottobre a Torino ha rovesciato la zuppiera. Bisogna cercarlo col lanternino uno che, nella coalizione e pure all’interno della stessa Forza Italia, abbia apprezzato e condiviso il pensiero del numero due del partito del Cavaliere affidato a un’intervista in cui dice una formale verità ricordando che “il centrodestra non ha ancora deciso il candidato a sindaco per Torino”, senza evitare di aggiungere, però, che “Paolo Damilano si è portato avanti, ma la nostra candidata è Claudia Porchietto”. 

Ora, che la formalizzazione delle candidature per le grandi città ancora non ci sia lo sanno pure i muri, ma metterla giù in quel modo visto che la discesa in campo dell’imprenditore dell’acqua e del vino è stata, di fatto, pure avvallata non molto tempo fa dallo stesso Silvio Berlusconi, quella di Tajani è apparsa come una mossa a dir poco avventata e assai poco comprensibile. Chiare e nette, invece, le reazioni di disappunto e nervosismo non solo in casa leghista dove è maturata la scelta del “civico” Damilano, quanto in tutta la coalizione, compresa la stessa Forza Italia dove l’imbarazzo ha fatto il paio con il cui prodest circa la sortita dell’ex presidente del Parlamento Europeo. E poi, come se già questo non bastasse, ha lasciato basito più d’uno il modo con cui Tajani la liquidato come ininfluenti quelle forze politiche minori, Italia Viva e Azione in primis, pronte a mollare il Pd nel caso probabilissimo i dem si alleassero con i Cinquestelle. Anziché fare ponti d’oro, almeno avesse lasciato la porta socchiusa e renziani e calendiani, non sarebbe stata una cattiva mossa, si ragiona nel centrodestra più centro che destra.

“Damilano è un candidato competitivo, solo un kamikaze potrebbe bruciarlo”, avverte il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari. Lei, la candidata “ufficiale” di Forza Italia dice quel che non potrebbe non dire: “Se il tavolo nazionale riterrà la mia figura quella con cui giocare questa partita, sarò a disposizione del mio partito e di tutta la coalizione”. Già, il tavolo: per adesso resta con le sedie attorno vuote e a Damilano toccherà aspettare l’investitura ufficiale, non certo con le mani in mano come ha mostrato di non voler certo stare dopo il pesante via libera di Salvini.

Un ritardo che, tuttavia, alimenta ben poche speranze in chi ancora immagina un sovvertimento dello schema sotto la Mole. Tanto più che nei prodromi della spartingaia sembrano sempre più concrete le candidature in casa forzista dell’attuale capogruppo Roberto Occhiuto per la presidenza della Regione Calabria dopo la prematura scomparsa di Jole Santelli, così come per una città importante come Palermo che andrà al voto l’anno prossimo si fa strada la candidatura del vicepresidente della Regione Gaetano Armao. Certo, resta ancora il nodo, più complicato, di Roma che Meloni si guarda bene dal contribuire a sciogliere finché non sarà risolta, con la Lega, la questione del Copasir. Ma proprio viste queste burrasche, l’ultima cosa che Salvini pare intenzionato a fare è lasciare in predicato una scelta di fatto già compiuta e per la quale aveva strappato l’informale placet di Berlusconi, come quella di Torino. Se Tajani abbia pensato di poter mettere un segnaposto con la Mole sul tavolo ancora da apparecchiare, le reazioni alla sua sortita sono state quelle di chi attovagliato riceve gli schizzi dalla zuppiera.

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