LOTTA AL COVID

Vaccini al Valentino, Sos ai privati

Destinato ad hub l'ospedale da campo mai utilizzato. Resta il problema del personale. La Regione chiede aiuto alle cliniche. Le strutture religiose si sfilano: "Siamo già a corto di infermieri". Perla (Aiop): "Aspettiamo il bando, ma dovremo assumere"

Non c’era il personale per farlo funzionare come ospedale Covid, non c’è per utilizzarlo come grande centro vaccinale. Strana e complicata storia quella del padiglione del Valentino attrezzato in appena nove giorni per accogliere malati in condizioni non critiche e liberare posti nei reparti: ruolo mai assolto. 

Inaugurato alla fine di novembre quando ormai i ricoveri avevano superato il picco, venne chiuso a dicembre pronto ad essere riparto nell’eventuale terza ondata che sarebbe puntualmente arrivata, senza che nessun malato venisse ospitato nell’ospedale da campo. Eppure ci sono stati giorni in cui i pazienti sono rimasti nelle barelle sui pianerottoli e nei corridoi di più di un nosocomio torinese. Ma la direzione della Città della Salute che aveva preso in carico il Valentino decise, insieme al Dirmei, di non aprirlo. Mai smentita, la ragione stava nella mancanza di personale. Ma forse anche in altro, visto che a colui che tirò su le tende nel padiglione, il direttore della Maxiemergenza sanitaria Mario Raviolo, venne risposto negativamente bocciando la sua disponibilità a rendere operativo l’ospedale da campo proprio con il personale del suo dipartimento. “Siamo in grado di riaprirlo in 48 ore”, è stato sempre ripetuto dall’Unità di Crisi. Non è stato fatto neppure quando, a decine, le ambulanze hanno preso a trasferire malati da Torino in ospedali delle altre province e nonostante gli appelli dei sindacati dei medici ospedalieri.

Ieri è arrivata la decisione, che sarà formalizzata oggi, di trasformare la struttura costata circa un milione e mezzo di euro e con 455 posti letto, in grande centro per la vaccinazione quando questa passerà alla fase massiva, ovvero presumibilmente a partire da maggio. Sempre che la sanità privata sia in grado e disponibile a gestirlo. Già, perché il problema del personale resta. Medici e infermieri non c’erano prima e non ci sono adesso. Questo il motivo per cui la Regione pubblicherà un bando, tecnicamente l’invito a una manifestazione di interesse. “L’intendimento è quello di concentrare il personale delle strutture pubbliche nei reparti anche non Covid per recuperare le cure per patologie che purtroppo sono state segnate da forti ritardi a causa della pandemia”, spiega l’assessore alla Sanità Luigi Icardi che proprio per rafforzare il recupero delle liste d’attesa ha chiesto, insieme alle altre Regioni, al ministro Roberto Speranza i 500 milioni dello scorso anno non utilizzati che per il Piemonte ne varrebbero circa una quarantina.

Una coperta corta che non è affatto detto possa allungarsi con l’aiuto da parte del privato accreditato, dato quasi per scontato dalla Regione. Mentre al Dirmei già si immagina un centro vaccinale aperto 24 ore su 24, da chi dovrebbe gestirlo non arrivano certo valutazioni rassicuranti. “Molto del nostro personale è stato assunto dalle Asl con i concorsi, facciamo già fatica a sostituire queste figure professionali. Non ci sono le condizioni per poter fare quel che la Regione propone, peraltro senza averci per ora neppure consultato”, spiega Josè Parella, presidente regionale di Aris, l’associazione che rappresenta le strutture sanitarie private di carattere religioso. “Abbiamo ancora reparti Covid pieni, come possiamo togliere medici e infermieri? Tra l’altro l’accordo per ospitare pazienti Covid scade il 30 aprile e nessuno ci ha detto cosa succederà dal 1 maggio, quando in teoria dovremo dismettere tutti i reparti Covid”.

Non meno difficoltà vengono espresse dall’altra associazione del privato sanitario, l’Aiop. “Fino ad oggi abbiamo sempre risposto fattivamente alle richieste della Regione – premette il presidente Giancarlo Perla –. Immaginare di far lavorare il personale al di fuori delle nostre strutture significa, però, privarle di risorse irrinunciabili e indispensabili. Un conto è ospitare nelle cliniche i centri vaccinali, altro è trasferire medici, infermieri e amministrativi in una struttura diversa, senza contare gli aspetti giuridici e assicurativi che questo comporterebbe”.

Ancora non si sa quante linee di vaccinazione si intendono istituire, quante inoculazioni al giorno previste, tantomeno quanto personale distribuito nei vari turni sarà necessario e quanto la Regione offrirà ai privati per questo servizio. Tutto questo dovrebbe essere dettagliato nel piano che sta predisponendo il commissario della Città della Salute Giovanni La Valle

“Quando avremo tutti i dettagli, compresa la durata temporale dell’operazione, cercheremo di dare una risposta attrezzandoci. Di certo non potremo utilizzare il nostro attuale personale, che non abbonda ed è indispensabile – spiega Perla – quindi dovremmo assumere figure professionali da dedicare esclusivamente a quell’attività”. A questo punto la domanda non la si può eludere: se per gestire il centro vaccinale i privati devono assumere medici, infermieri e amministrativi, perché non può farlo la Regione attraverso le aziende sanitarie? Nella risposta potrebbe essere scritta l’ennesima pagina della storia, strana e complicata, dell’ospedale del Valentino. 

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