POLITICA & SANITA'

Buone intenzioni e tante ovvietà: sanità territoriale ancora al palo

Dopo un anno, presentato il piano della task force dell'ex ministro Fazio: indicazioni vaghe e necessità che sono evidenti a tutti. Valle (Pd): "Si passi dalle enunciazioni di principio al merito della questione". Anaao attacca Icardi sui ricoveri "impropri"

Potenziare, consolidare, rimodulare. Un anno dopo la sua istituzione, la task force incaricata di elaborare un piano per la medicina del territorio affidata alla guida dell’ex ministro della Salute Ferruccio Fazio porta in commissione Sanità del Consiglio regionale quattro pagine che saranno pure la sintesi del progetto, ma dove quei verbi all’infinito che si ripetono nelle varie caselle riferite ad altrettanti interventi e situazioni stanno tra l’ovvio e le buone intenzioni. Nulla di più.

Dopo un anno, ma anche prima, ci si aspettava di più. Era lecito attendersi dagli esperti coordinati dall’ex titolare del dicastero di Lungotevere Ripa una serie di misure necessarie per migliorare la rete territoriale, con indicazioni di interventi e tempistiche. Non c’è un numero, non un dettaglio che induca a non considerare vaghe e in qualche modo banali quelli che nel documento vengono definite parole chiave, così come vale per gli obiettivi generali, che più generali di cosi riesce difficile immaginare.

Pescando a caso nelle quattro pagine, per i piani per le emergenze infettive che sono da “consolidare”, ecco cosa si legge: “L’esperienza della pandemia da Covid 19 ha evidenziato l’importanza della pronta risposta territoriale. Al territorio è richiesta la preparazione e la tempestiva applicazione dei piani di emergenza per la gestione dei pazienti. La finalità è di favorire la gestione del paziente a domicilio e prevenire quando possibile i ricoveri impropri in ospedale”. Affermazione indiscutibile, ma oltre a ripetere quel che tutti ormai sanno, qual è, anche in poche righe, la traduzione in pratica, le indicazioni per preparare e poi applicare i piani di emergenza?

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Altro punto molto delicato e complicato: l’assistenza domiciliare. “ll progressivo invecchiamento della popolazione richiede un complesso integrato di interventi che perdurano nel tempo. Le attività sanitarie e socio-sanitarie erogate a persone non autosufficienti e non assistibili a domicilio all'interno di idonee strutture di tipo residenziale e semiresidenziali rappresentano una risposta coerente. In tale ambito – si legge ancora del documento illustrato ai consiglieri regionali – è necessaria una attenta analisi degli attuali modelli in funzione della loro rimodulazione”. C’è qualcuno che, anche tra i non addetti ai lavori, convinto che invece vada tutto benissimo e, anche dopo un anno di pandemia ed emergenza, non ci sia bisogno di cambiarne parecchie di cose? 

Sarà pure, come ha ricordato lo stesso Fazio in commissione “un documento preliminare”, aperto ad eventuali contributi, ma dopo un anno dall’istituzione della task force, oggettivamente, ci si aspettava di più. Molto di più. “Al momento sembra un compendio di buone intenzioni, che arrivano peraltro quando la terza ondata è in fase di remissione – osserva Daniele Valle, consigliere del Pd e coordinatore della commissione di indagine sull’emergenza Covid –. Ma siamo pronti a entrare nel merito per valutare le azioni concrete che dovrebbero conseguire a queste enunciazioni di principio”.

Era la seconda metà di aprile dello scorso anno quando il presidente della Regione aveva salutato l’incarico all’ex ministro spiegando che “dobbiamo fare un’analisi accurata delle carenze strutturali: oggi che le ferite sono ancora aperte siamo in grado di capire dove il sistema sanitario necessita di maggiori interventi e da lì ripartiremo per costruire una reale medicina di territorio. Parlo di costruire – aveva aggiunto Alberto Cirio – e non di ricostruire, perché la grande carenza in questa pandemia è stata la rete organizzativa di medicina territoriale”. Vero. Il grande malato della sanità piemontese, messa a durissima prova dal virus, era il territorio. E lo è ancora, dopo una seconda ondata e nel mezzo della terza con, peraltro, la campagna vaccinale in corso.

A parte la legge che riguarda le medicina associativa, licenziata poco tempo fa, nessun altro intervento di rilievo ha cambiato la situazione. La stessa fame di posti letto negli ospedali torinesi che ha costretto, nelle settimane scorse a trasferire pazienti in strutture di altre province per far fronte a un numero massiccio di ricoveri non può non trovare una della ragioni, probabilmente la principale, proprio nella debolezza della medicina territoriale. Lo stesso assessore Luigi Icardi ha ammesso che “a Torino e provincia il protocollo di cure domiciliari fa fatica a decollare” rispetto al resto del Piemonte. Suscitando la durissima reazione dell’Anaao-Assomed, Icardi ha pure annunciato l’intenzione di voler verificare se alcuni ricoveri non siano frutto di “regole di ingaggio troppo lasche”. Chiara Rivetti, segretario regionale del sindacato dei medici ospedalieri, ha ribattuto ponendo l’accento proprio sulla questione che dovrebbe essere se non risolta almeno ridotta in gravità dal piano Fazio. “Le cure territoriali sono da sempre gravemente carenti ma nell’ultimo anno sono state falcidiate: le Asl del Piemonte hanno chiuso l’anno 2020 con un taglio di quasi 50 milioni di euro sulla spesa storica destinata alle quote sanitarie per la residenzialità dei malati non autosufficienti”. Per Rivetti servono “analisi puntuali e un confronto trasparente con l’organizzazione delle altre regioni”. Serve anche un piano, su questo sono tutti d’accordo, concreto e dettagliato per curare con decisione e rapidità la medicina territoriale. Al momento l’impressione è che, dopo un anno, le si sia soltanto misurata la febbre. 

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