Europa all'angolo

In questi ultimi giorni la rete si è sbizzarrita ad inoltrare alcuni fotomontaggi ironici dell’incontro svoltosi ad Ankara tra il leder turco e i vertici delle Istituzioni di Bruxelles. I creativi della tastiera sono stati stuzzicati dal bizzarro protocollo che ha consentito al solo presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, di sedersi al fianco di Recep Tayyip Erdogan (il padrone di casa), relegando la presidente della Commissione, Ursula Von Der Leyen, su un grande divano posizionato molto lontano dal duo maschile. 

A poco è servito il suono vocale “Ehmm” emesso da una sconcertata Ursula che cercava di attirare l’attenzione degli astanti sulla gaffe in corso, e meno ancora le è stato utile stare alcuni secondi in piedi nella speranza di ottenere un “aggiustamento” dell’imbarazzante situazione: i due uomini dopo un attimo di incertezza si sono comunque accomodati e il summit ha avuto inizio.

Da giorni quindi la polemica va di pari passo con la satira. Entrambe infatti si sono cimentate nell’interpretare le ragioni alla base del confinamento subito dalla Von Der Leyen. Alcuni accusano il presidente turco di essere afflitto da una forma di maschilismo discriminatorio, altri invece vedono in questo fatto un grave attacco simbolico all’Unione Europea. Ipotesi che hanno condotto il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, a indicare in Erdogan la figura di un dittatore dispettoso.

Il vecchio Continente ha sicuramente incassato un sonoro schiaffo da parte dell’uomo forte di Ankara, un colpo diretto alla propria autorevolezza internazionale, a cui è seguita la plateale dimostrazione della fragilità politica in cui ristagna l’istituzione stessa. L’Unione si indigna per uno sgarbo subito ad opera di un leader che ha sostenuto, e sostiene, tramite contributi, ma al contempo senza battere ciglio quando i suoi bombardieri sganciano ordigni sulle popolazioni curde e sulle città siriane: un silenzio assordante che ha reso l’Occidente complice pure dei quotidiani arresti di giornalisti e di oppositori al governo di Ankara.

La politica estera europea si dimostra incapace di intraprendere strade diverse da quelle indicate dagli Stati Uniti, ed evidenziando una totale assenza di coraggio sceglie di mettersi in un angolo: all’ombra della ritrovata alleanza con l’America post trumpiana. Un’Europa debole e senza direzione politica, molto lontana da quella immaginata da molti padri fondatori: vicina ai popoli, alla gente, e capace di difendersi dagli interessi delle multinazionali (dei padrini del vapore).

La bandiera dalle stelle colore oro avrebbe potuto rappresentare un territorio cerniera, posto a metà tra l’Occidente e l’Est Europa, capace di sostenere azioni di pace, di confronto culturale e crescita collettiva. Purtroppo la storia degli ultimi vent’anni ritrae 27 nazioni (28 sino a qualche mese fa) in bilico tra slanci ipernazionalisti e l’incoerenza dettata dall’opportunismo strategico. Calcolo di interesse che porta la Ue a schierarsi a volte con le forze ribelli e secessioniste (vedi il terribile conflitto in Jugoslavia), mentre in altre occasioni ad appoggiare gli eserciti anti indipendentisti (Ucraina - Donbass, Turchia – Kurdistan).

Il dogma assoluto è la fede atlantica, sia dal punto di vista militare che commerciale. Una sudditanza che ha condotto il continente europeo a confermare addirittura le sanzioni a Cuba, malgrado l’impegno dell’Avana nel mandare medici, e aiuti, durante la prima ondata epidemica del Covid (l’Italia ha dimostrato un’irriconoscenza sconcertante). Obbedienza cieca che ha incanalato Bruxelles a puntare sui soli vaccini anglo americani per fare fronte all’avanzata del virus, nonché a promuovere azioni protettive a freno della concorrenza estera sul profitto derivato dai brevetti stessi (di proprietà delle case farmaceutiche seppur registrati grazie a sostanziosi finanziamenti pubblici).

In molti speravano che le forze “progressiste” avessero finalmente compreso che ancora una volta (dopo un secolo circa) per fermare la nuova egemonia nazional populista fosse indispensabile inaugurare una stagione “sociale”, ossia avviare una riforma capace di spostare l’attenzione dalla finanza al lavoro e al welfare. Nelle metropoli europee le periferie si stanno trasformando in ghetti dove lo Stato rinuncia addirittura a esercitare la propria autorità. Il Recovery Fund rappresenterà una grossa opportunità per l’economia green, oltre che per l’Ambiente, ma sarà anche un’occasione persa nella lotta all’emarginazione, alla povertà.

Sono tante le donne in piedi poiché in attesa di giustizia, di un lavoro, di dignità: dare loro modo di sedersi senza subire ulteriori discriminazioni sarebbe il compito che l’Europa dovrebbe darsi per il futuro prossimo.

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