Piccoli gesti per Torino

I piccoli gesti sono quelli più generosi per regalare soddisfazione. Una ragazza apparentemente “dura” (vestita con un giubbottone di pelle e anfibi ai piedi) che accompagna dolcemente la chiusura del pesante portone condominiale, è la perfetta fotografia di un gesto cortese: evitare lo schianto fastidioso dei battenti, e di conseguenza il disturbo alle famiglie alloggiate al piano terra.

È altrettanto bello l’atto di un giovane adolescente, il quale a bordo del tram è pronto a cedere il suo posto a una persona anziana attaccata con fatica al mancorrente. La cura verso il prossimo, la solidarietà, il garbo e la gentilezza sono atteggiamenti positivi: atti pieni di bellezza, ma anche fautori di speranza per il futuro della collettività.

Un miraggio non sempre alimentato invece dalla politica, poiché quest’ultima si caratterizza oramai in gran parte per l’assenza tra le sue fila di lealtà, umanità e quindi di bellezza. La corsa per “Arrivare” riempie lo scenario elettorale di tutte le compagini partitiche, e i candidati si contraddistinguono generalmente per un totale disinteresse nei confronti del bene comune: menefreghismo compensato però dalla massima attenzione verso i propri interessi.

L’intreccio tra il mondo degli affari e gli eletti nelle istituzioni è sempre più fitto, al punto di mescolare privato e interesse pubblico. Sono molti i progetti spacciati come essenziali per la comunità, ma la cui realizzazione rivela infine i veri beneficiari: lobbisti e imprenditori senza scrupoli.

La nostra città è stata presa in ostaggio da una curiosa versione di “Sviluppismo forzoso”. L’effimero si sposa con l’inconcludente, dando vita all’alone magico che circonda interventi di cui la collettività può fare tranquillamente a meno, ma resi indispensabili da una propaganda spietata e capillare.

Il mondo politico ha spesso stupito gli elettori dimostrando un’inesorabile allontanamento dai valori, dall’ideologia, per dedicarsi alla ricerca di un pragmatismo segnato dall’ambiguità, poiché incapace di separare gli ambiti privati da quelli istituzionali. I due ambienti si mescolano di continuo, riducendo così il novero del patrimonio collettivo e sottraendo ai cittadini pertinenze, luoghi aggregativi e servizi.

Non è possibile evitare di rivolgere un pensiero a quel fenomeno di piazza che ruotò intorno alle cosiddette “Madamine” alla vigilia delle elezioni regionali piemontesi del 2019. Alcune donne in carriera, nel novembre 2018, organizzarono una manifestazione Sì Tav, con la dichiarata intenzione di sfidare sia il primo governo Conte che la Sindaca pentastellata di Torino. I media diedero grande enfasi all’appuntamento che le Signore convocarono in piazza Castello, evidenziando all’unisono la convinta partecipazione di 40.000 persone: esattamente come qualche decennio prima (la nota marcia dei quadri Fiat dell’ottobre 1980) ritornava alla ribalta un numero sovrastimato e arrotondato per eccesso. La folla al seguito delle “Madamine” non riempì la piazza, eppure le tv locali e nazionali convinsero tutti gli italiani che ancora una volta (allo stesso modo di 38 anni prima) decina di migliaia di persone erano scese in strada per difendere gli interessi degli industriali.

Le promotrici vennero fotografate in gruppo con alle spalle le parti gremite di piazza Castello (evitando accuratamente di inquadrare quelle vuote) e i partiti iniziarono a proporre loro candidature. Era chiaro sin da subito come tali istanze non fossero di carattere rivendicativo o sociale, ma lascia ugualmente basiti apprendere, tramite un’inchiesta curata dal sito “Notav.info” e riportata dallo Spiffero, che una delle Signore fosse all’epoca in rapporto di lavoro con l’azienda Telt. Simonetta Carbone, la “Madamina”, percepiva novantamila euro per curare la rassegna stampa dell’impresa che gestiva (e gestisce tutt’ora) le gare d’appalto e i lavori del tunnel di base della tratta Tav Torino-Lione: elemento certamente non conosciuto da coloro che in buona fede risposero all’appello di donne definite da molti quotidiani “Attente al solo bene della Città”.

Può sembrare un fatto paradossale, tuttavia ancora oggi l’opera ferroviaria alpina domina la scena politica e condiziona alleanze nonché programmi elettorali. I No Tav sono impossibilitati a coalizzarsi con il Centrosinistra torinese. La discriminante posta da chi si propone di governare la Città non riguarda i temi sociali, neppure quelli dell’inclusione e del lavoro, ma la fedeltà al progetto ad alta velocità (in nome di quella dedizione esclusero ai tempi Rifondazione e ora i 5 Stelle): l’unico pass utile a formare un fronte comune contro le Destre (a loro volta Sì Tav).

Gentilezza, garbo e correttezza, progetti amministrativi rivolti alla Torino di tutte e tutti. Un orizzonte purtroppo lontano poiché nel capoluogo piemontese regna la filosofia delle “Madamine”: vince il più bravo ad arrampicarsi in alto grazie alla spinta offerta dal manager industriale di turno.

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