CAPITALISMO MUNICIPALE

Il sub-patto di Appendino è solo un diversivo, Torino isolata in Iren

L'ad Bianco saluta con una trimestrale stellare. E mentre si attende l'ok di Ferraris per la successione i soci pubblici mettono le basi della nuova governance. Ecco perché la strada ipotizzata con le fondazioni bancarie è un vicolo cieco

Quale sarà il ruolo di Torino nei nuovi assetti di Iren? Possono davvero le fondazioni bancarie entrare nel risiko della multiutility del nord-ovest al fianco del capoluogo piemontese? Quanto inciderà nel nuovo schema il nome del prossimo amministratore delegato visto l’ormai imminente quanto scontato addio di Massimiliano Bianco? Poco, certamente meno dei soci liguri ed emiliani.

È stato l'ad uscente a portare Iren a competere con i top player del settore attraverso una politica aziendale fondata su investimenti nella multicircle economy e nelle acquisizioni, che ha incrementato i ricavi (dai 2,9 miliardi del 2014 ai 3,7 del 2020, anno del Covid) e anche l’appetibilità sul mercato come dimostra il titolo in Borsa cresciuto in questi sei anni del 188 per cento. Lo stato di salute dell’azienda è confermato dalla migliore trimestrale della sua storia, presentata questa mattina, con un utile netto a 121 milioni (+44,2% rispetto a periodo gennaio-marzo dell’anno scorso), un margine operativo lordo di 313 milioni (+14%) e un indebitamento di 2,9 miliardi (-1,1%). Risultati riconosciuti in modo unanime e forse è per questo che gli analisti di Equita considerano l’avvicendamento al vertice (il favorito per la successione è l’ex ad di Terna Luigi Ferraris, che però sarebbe ingolosito da una possibile nomina governativa in Fs e quindi prende tempo) “una notizia negativa per il titolo considerando l’impatto positivo che il management ha avuto sul riposizionamento della società, sulla riorganizzazione e sulla performance azionaria”.

I principali soci pubblici, contraenti del patto di sindacato che gestisce l’azienda, stanno discutendo in questi giorni i nuovi assetti della governance. Com’è noto Torino ha perso la golden share dopo che Chiara Appendino ha venduto il 2,5% delle sue quote nel 2018, salvo poi ricomprarle ad aprile 2021, attraverso la Città Metropolitana, a un prezzo superiore di oltre 20 milioni di euro, giacché intanto il titolo aveva acquisito maggiore valore. Nonostante questa operazione Torino resta in una posizione di svantaggio rispetto agli altri due grandi poli istituzionali che fanno parte del patto: quello ligure, capitanato da Genova, e quello dei Comuni emiliani che gravitano attorno a Reggio Emilia. Motivo per cui il capoluogo piemontese perderà con ogni probabilità la presidenza e dovrà accontentarsi di una figura creata ad hoc nell’ambito dei nuovi patti parasociali, quella di direttore generale, per la quale spifferi interni parlano di una opzione già scattata a favore di Giuseppe Bergesio, attuale numero uno di Iren Energia, a suo tempo in corsa per il ruolo di presidente quando perse il testa a testa con Boero. Ma quali deleghe e competenze operative potrà avere un dg sotto un amministratore delegato del rango di Ferraris? “Il passacarte” sentenzia una fonte interna.

Appendino ha fatto sapere di voler rafforzare la posizione di Torino attraverso un sub-patto che coinvolgerebbe oltre alla Città Metropolitana anche le due fondazioni bancarie del territorio, Compagnia di San Paolo e Crt, che già detengono rispettivamente il 3 e l’1,5 per cento delle azioni di Iren. Operazione ambiziosa, ma realmente possibile? Difficile, soprattutto dal momento che lo statuto impone che il controllo della multiutility sia in mano pubblica mentre le fondazioni bancarie sono soggetti di diritto privato. Inoltre, è verosimile ritenere che la Compagnia stringa un sub-patto con Torino nonostante abbia tra i suoi stakeholder proprio la città di Genova e la locale Camera di Commercio? Nel Consiglio generale della fondazione di corso Vittorio Emanuele siedono Ernesto Lavatelli, legatissimo al primo cittadino della Lanterna Marco Bucci con una lunga sfilza di incarichi proprio in società del settore energetico (ha guidato la transizione da Iride a Iren attraverso Fsu), e Angelo Mantellini, espressione del mondo economico genovese. A che pro Francesco Profumo dovrebbe esporsi a favore di Torino in un'operazione apertamente ostile a Genova? E poi, ricorda chi ha la memoria lunga, non sono le stesse fondazioni che fecero orecchie da mercante quando Appendino con l’acqua alla gola chiese loro di aprioùre i cordoni della borsa per acquistare la quota in vendita da Palazzo civico?

Insomma, la sensazione è che sia solo un diversivo, quello della sindaca grillina, peraltro ormai in scadenza e vittima in primis delle sue (tante) scelte sbagliate. Dalla (s)vendita delle proprie azioni nel 2018, fino alle nomine. Oggi si è accorta che dare il benservito a Paolo Peveraro per mettere alla presidenza della società Boero poteva servire per tenere a bada la sua maggioranza di ciaparat ma ne avrebbe svilito il suo peso specifico nelle scelte strategiche, così come la decisione di indicare nel cda, in rappresentanza di Torino, due donne che nulla hanno a che fare con questo territorio: la lombarda Sonia Maria Margherita Cantoni e la toscana Ginevra Virginia Lombardi. Due designazioni che hanno seguito logiche ben lontane da quelle territoriali di cui ora la sindaca paga il fio.