LA CADUTA DI UNA STELLA

L'unica sentenza che teme Appendino: il voto dei torinesi

La verità è che non si ripresenta perché teme una sonora bocciatura alle urne. L'accordo col Pd su un candidato civico lo voleva solo per assicurarsi un futuro e ora strizza l'occhio a Damilano pur di non vedere Lo Russo a Palazzo Civico

Mistifica, si contraddice, dice tutto e il suo contrario Chiara Appendino mentre gli eventi rendono il suo ruolo sempre più marginale nella scelta del nuovo sindaco di Torino. Voleva determinare la sua successione attraverso un accordo con i vertici romani del Partito democratico, ma in troppi si sono messi di traverso, nel centrosinistra torinese e pure in quel Movimento 5 stelle che lei (almeno a livello locale) ormai non governa più. Ora la sindaca parla di “occasione persa” perché “ritenevo che il governo Conte 2, che ha fatto un ottimo lavoro per Torino, fosse stata un’esperienza positiva e che valesse la pena attorno quel perimetro provare a costruire un percorso innovativo per la nostra città, convergendo e provando a costruire un programma e un candidato sindaco” dice ad Agorà su Rai 3. Nel suo lessico, sempre più intriso di politichese, non c’è più la freschezza di cinque anni fa quando bastava la sua faccia e quel claim L’alternativa è Chiara a far andare i torinesi in brodo di giuggiole. Ora sembra di sentire parlare un Boccia qualsiasi, ci mancano solo il “campo largo” e le “convergenze parallele” di forlaniana memoria.

Ma se da una parte Appendino era pronta a stringersi in un abbraccio con la sua opposizione in Sala Rossa sin dal primo turno, dall’altro nega un sostegno al centrosinistra in un eventuale secondo turno. Naturalmente “non per un capriccio” (excusatio non petita…) “ma perché se non c’è un programma serio e un’alleanza seria che non prenda in giro gli elettori in tre o quattro mesi prima delle elezioni, qualcuno mi deve spiegare come si fa in dieci giorni, tra il primo e il secondo turno. Quello è prendere in giro gli elettori”. A questo punto Appendino dovrebbe spiegare quale programma serio ha condiviso cinque anni fa con Matteo Salvini, quando al ballottaggio contro Piero Fassino il leader della Lega, pur di non rivedere il Pd al potere, diede indicazione ai suoi elettori di votare per lei. Dichiarazioni contraddittorie diventano schizofreniche quando, nella stessa intervista, la prima cittadina pentastellata rilancia per le politiche del 2023 “il modello del Conte 2”, cioè un’alleanza del M5s con quel Pd che lei non voterebbe neanche in caso di ballottaggio, quando notoriamente gli elettori dei partiti rimasti fuori scelgono il meno peggio.

La sensazione è che ad Appendino non interessi il Conte 1 o il Conte 2, d’altronde si è mossa con la medesima disinvoltura sia quando il suo partito era alleato con la Lega sia quando poi ha costruito un esecutivo con il centrosinistra. Piuttosto la sindaca uscente è preoccupata di ritagliarsi un ruolo dopo l’esperienza amministrativa e, per riuscirci, vorrebbe evitare che a succederle fosse il suo più fiero oppositore, cioè il capogruppo dem in Consiglio Stefano Lo Russo che in un lustro non gliene ha fatta passare una e ora è candidato alle primarie. Fin dall’inizio lei ha puntato sul rettore Guido Saracco perché sapeva che era un nome su cui il Pd non avrebbe avuto difficoltà a convergere: si sarebbe intestata la golden share sull’operazione, avrebbe trattato con il Magnifico il dopo di lei e si sarebbe sbarazzata di Lo Russo. Cause di forza maggiore hanno impedito che questo disegno prendesse corpo. E ora a mali estremi ha già strizzato l’occhio a Paolo Damilano, il candidato di centrodestra.

In un profluvio di dichiarazioni, incontri, strategie e baruffe Appendino prova a dettare la linea di un partito che non c'è, in cui lei è autosospesa, sfruttando l'asse con Giuseppe Conte, il quale a sua volta ambisce a guidare una forza alla quale non è iscritto. Una via di mezzo tra House of cards e Jeffery Deaver. Nelle ultime settimane avrebbe addirittura accarezzato l’idea di ricandidarsi, dopo la pressione esercitata dal capo politico in pectore e Luigi Di Maio, ma cinque anni tra luci e ombre e un partito in preda allo psicodramma non sono esattamente il migliore viatico per un bis. Ancora una volta, però, Appendino non dice la verità e si nasconde dietro le sentenze che pure la stanno provando oltre le sue stesse responsabilità: “Ho scelto di non ricandidarmi per via delle questioni giudiziarie, non per le questioni legate alle attività da sindaco – sono le sue parole –. Senza le questioni giudiziarie penso che probabilmente avrei scelto di continuare il percorso. Mi sembra comunque giusto che dopo cinque anni si porti avanti quello che si è iniziato a fare”. Ma come, non era stata proprio lei, in campagna elettorale, a dire che avrebbe fatto un solo mandato? Che poi avrebbe voluto dare un fratellino alla piccola Sara (che peraltro è in arrivo ndr)? Cosa c’entrano le sentenze e soprattutto nel M5s non vige più la regola dei due mandati?

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