Il prossimo regime

Gli industriali aderiscono in genere a una loro associazione “di categoria”, che li rappresenta, i lavoratori invece si appellano ai sindacati per far valere le proprie ragioni ed essere tutelati nei diritti. La Confindustria assiste quindi le imprese manifatturiere e di servizi, protegge i loro interessi e tratta con dipendenti e governo.

L’obiettivo prioritario dei capitani di azienda è quello di ampliare il mercato, cosicché implementare i profitti e immettersi in nuovi settori. Il meccanismo che ne consegue è di facile comprensione: si individua un servizio a gestione pubblica che privatizzato potrebbe rivelarsi fonte di ampliamento degli introiti, quindi si attiva l’associazione di categoria di riferimento per esercitare la giusta pressione lobbistica nei confronti del governo: azione dai risultati garantiti e giocata tramite le “relazioni”.

La successione degli eventi sfiora la banalità, tanto è collaudata in Occidente e non solo, e inizia con il sostegno degli imprenditori ad alcuni partiti (nello specifico a candidati ritenuti “vicini”) che hanno il compito di sposare lo slogan “Privato è bello”. Ogni dibattito o conferenza stampa diventa così strumento utile per rimarcare la spesa eccessiva dello Stato e la cogente necessità di tagliare i servizi pubblici, così da poter ridurre drasticamente le uscite in bilancio. A questo punto la politica recepisce, addossando prudentemente la responsabilità delle imminenti dismissioni all’Europa (comunque non del tutto innocente), e si incanala la procedura del disimpegno statale dal servizio alle persone, o dallo stabilimento produttivo.

Al contrario, i sindacati di rado riescono nel difficile compito di portare deputati e ministri su posizioni favorevoli ai loro iscritti (i lavoratori): sono rari i successi ottenuti dalla continua stretta esercitata sulle istituzioni. Le numerose delocalizzazioni produttive decise dagli amministratori delegati in questi ultimi venti anni ritraggono l’amara conferma dell’enorme disparità di forza tra le organizzazioni padronali e quelle dei lavoratori.

La stessa insoluta vicenda Embraco è la cartina tornasole dell’impotenza di chi si contrappone ai licenziamenti in cambio di maggiori utili agli azionisti, di chi contrasta i traslochi delle sedi produttive e legali dei datori che cercano salari minimi (quasi da fame) e favori fiscali: una lotta difficilissima poiché ha come avversari silenzi, promesse mancate e assenza di retribuzione per interi mesi.

L’influenza del mondo imprenditoriale sulla politica è davvero grande, e ha una continua ricaduta sulla vita quotidiana di tutti i cittadini. Ad esempio la privatizzazione della Sanità è l’effetto più tangibile delle incontenibili voglie dei manager. In questi anni non sono state rare le occasioni pubbliche in cui investitori e businessman hanno evidenziato l’inopportunità che il Pubblico gestisca ospedali e laboratori di analisi. L’appello è stato prontamente accolto da alcune Regioni che si sono impegnate sin da subito nello smantellamento del sistema sanitario pubblico, tra cui Molise e Lombardia: territori colpiti con violenza dal Covid19 e meno di altri capaci a reggere l’impatto micidiale del virus.

Negli anni la rete sanitaria di quartiere, nata per fare prevenzione e offrire prestazioni decentrate universali (rivolte a tutti a prescindere dal reddito personale), si è ridotta a pochi presidi pronti al sacrificio nel nome dei tagli della spesa. La contrazione dell’intervento pubblico ha colpito anche settori quali la cultura e la sicurezza. La comunità perde in tal modo servizi (compresi i vigili di prossimità) nonché beni storici (per gli speculatori meglio metterli a rendita che a disposizione della crescita culturale collettiva) con buona pace della qualità della vita di tutti. 

Sono scelte che mostrano la loro fallacia quando la collettività deve superare le difficili prove messe in campo da improvvisi eventi drammatici, ad esempio un’epidemia. Il Pubblico si riduce a poche mansioni, tra cui erogare contributi e concedere i propri immobili a chi ne fa richiesta, mentre rinuncia letteralmente alle sue competenze, ad esclusione di quelle repressive (è necessario mantenere l’ordine pubblico in caso di malcontento popolare).

Lo Stato che delega le proprie funzioni a terzi, nello specifico agli imprenditori, perde autorevolezza e credibilità: durante il primo conflitto anti Saddam abbiamo scoperto come pure la Difesa sia stata in parte esternalizzata, ossia affidata a società definite di contractors. La scuola invece da anni regge a fatica il colpo inferto dalla deviazione dei finanziamenti pubblici verso il sistema dell’istruzione parificata, convenzionata.

Un modello di favore alla grande impresa sostenuto con forza dai media: sistema però che sulla carta risulta vincente, ma nella realtà incapace di affrontare con autorevolezza tutto ciò che esula dalla normale amministrazione.

L’editoria oggi è espressione di un’egemonia culturale che pende decisamente a Destra: è sufficiente assistere a un dibattito televisivo (oppure a una rassegna stampa) per poter contare uno sparuto gruppo di testate e direttori progressisti a fronte di un preponderante numero di riviste e quotidiani marcatamente orientati su posizioni nazional neoliberiste.

Lo Stato privatizzato è destinato a fare ulteriori passi in avanti grazie all’assenza di amplificatori per le voci dissidenti: possiamo solo augurarci che non decida di trasformarsi in regime del “grande imprenditore”. Il Covid19 ha mietuto molte vittime, ma purtroppo sembra non aver insegnato nulla: un immenso sacrificio per molti e un’occasione di arricchimento per pochi privilegiati.

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