Il reality dei sopravvissuti 

Accade che mondi immaginari ipotizzati da autori fantasiosi possano diventare nel tempo parte tangibile della vita quotidiana. Alcune pellicole cinematografiche sono state infatti profetiche nel raccontare vicende ambientate in un lontano futuro, oppure in luoghi inesistenti, rese poi improvvisamente verosimili da una concatenazione di fatti reali: una materializzazione della sceneggiatura che stravolge l’esistenza delle persone e la loro tranquillità.

Qualche anno fa venne prodotto un film che ebbe un successo tale, specialmente tra i più giovani, da programmarne il seguito offrendo ben altri tre appuntamenti ai cinema. La pellicola, dal titolo “Hunger Games”, raccontava al pubblico la storia di una giovane cacciatrice diventata eroina suo malgrado, la quale si ritrova protagonista di un reality mortale: un programma televisivo dove alcuni ragazzi estratti a sorte, due per ogni distretto di una nazione appena uscita dalla guerra civile, combattono sotto lo sguardo implacabile delle telecamere. Solo uno di loro sarà dichiarato vincitore della gara: colui che ucciderà tutti gli avversari.

Il regista del reality inquadra i combattimenti all’ultimo sangue tenendo costantemente sott’occhio l’indice di gradimento del pubblico, si sofferma sulle tattiche dei vari giocatori e sugli agguati a cui seguono i massacri. Gli spettatori scommettono, tifano ciascuno per il partecipante preferito (a volte sino a sponsorizzarlo) e partecipano alle dirette in studio interagendo con i due conduttori dal look all’ultima moda.

Sino a questo punto è finzione scenica, ma quel che si vede oggi in Tv non è molto differente dalle dinamiche di ricerca dell’audience che condizionano lo svolgimento degli immaginari “Hunger Games”. I reality e i contenitori di intrattenimento pomeridiano affrontano la concorrenza di fascia oraria favorendo gli scontri tra i partecipanti e gli ospiti, i litigi aspri e la rivalità accesa del genere “tutti contro tutti”. Quando il clima del programma eccede per pacatezza, rispetto reciproco e calma, la solerte conduttrice di turno istiga gli animi, stimola reazioni risentite, provoca sino a creare l’inevitabile rissa.

Produzioni del piccolo schermo quali “Uomini e Donne”, “Il grande fratello”, “Forum” oppure “L’Isola dei famosi” hanno un discreto indice d’ascolto e incidono sulle abitudini nonché sulla cultura della nostra società. Spettacoli che insegnano l’importanza dell’immagine, dell’apparire per raccogliere consensi (like), del cinismo per incassare una vittoria. Alcuni critici non esitano a definire tale programmazione con l’etichetta “Trash”, ma neppure loro denunciano la filosofia sottintesa dagli autori televisivi: individualismo, stigmatizzazione del perdente a fianco dell’esaltazione del vincente, aggressività.

I cosiddetti “Naufraghi” sono un terribile esempio di cosa significhi dover raggiungere alti livelli di share. Ogniqualvolta i partecipanti costruiscono situazioni solidali tra loro (sostenendosi, aiutandosi) interviene lo staff in studio con lo scopo di annientare le mediazioni e favorire il conflitto aperto: trionfa così l’apologia della corsa solitaria, la strategia di chi riesce addirittura a usare la comunità per soddisfare le proprie ambizioni personali.

Il messaggio, ripetuto a tamburo battente, ha bucato lo schermo sino a rimuovere i principi solidali e la presa in carico collettiva del disagio sociale. La politica non è da meno: anch’essa si adatta alla comunicazione mediatica, trasformando le competizioni elettorali da confronto sul governo della res publica a semplice rivalità di stampo personalistico. La competizione è tra i pretendenti al seggio, ogni mezzo per arrivarci diventa lecito.

Qualcuno sta preparando una vertiginosa salita a Palazzo Chigi con il sostanzioso aiuto della stampa e soprattutto delle telecamere, usando un libro appena editato quale lasciapassare a continue interviste. La Meloni all’età di 44 anni scrive già un’autobiografia raccontando, immaginiamo, un’esistenza spesa nella difesa dei diritti civili e dei più deboli (da far invidia a Nelson Mandela). Il personalismo è visibile anche laddove i partiti inseriscono nel loro simbolo il nome del leader (per l’appunto Meloni, Salvini, Berlusconi, Grillo), ed è riscontrabile nelle metropoli in cui si raccolgono le candidature per le prossime amministrative.

Le stesse Primarie in seno all’alleanza del Centrosinistra torinese propongono agli elettori alcuni nomi pronti a farsi guerra, ma evitano accuratamente di rendere di pubblico dominio i progetti dei singoli candidati per la Torino del dopo elezioni (welfare, lavoro, inclusione, edilizia pubblica, turismo per citare alcuni temi). A Destra viene citata di continuo una città “Bellissima”, mentre in campo avverso va in scena un balletto di volti sorridenti: probabilmente solo la galassia della “Sinistra Sinistra” dedica tempo e parole (generalmente inascoltate dai media) per elencare i propri punti programmatici. 

Elezioni amministrative simili quindi a un reality, ma in questo caso i sopravvissuti non sono i concorrenti (ossia i candidati), bensì coloro che credono ancora tenacemente nelle Politica quale servizio per la collettività.

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