DEI DELITTI E DELLE PENE

Giustizia schiantata sul Mottarone

Arresti ingiustificati, scontri tra magistrati, esternazioni dei pm, atti e interrogatori passati alla stampa, indagati offerti alla pubblica opinione come mostri. E il solito sociologismo d'accatto dei giornali. Perché i 14 morti meritano più rispetto. Ne parliamo con Enrico Costa

Parole che placano la sete di giustizia, anche se è difficile non chiamarla sommaria, poi atti che ribaltano quasi tutto e alimentano il sentimento di tradimento, di giustizia negata. C’è questo, nel passaggio dalle dichiarazioni dei pubblici ministeri alla decisione del giudice delle indagini preliminari, che interroga di fronte alla immane tragedia del Mottarone, con i quattordici  morti e il piccolo sopravvissuto che esigono e meritano giustizia. Quella dei tribunali, quella prevista dalle leggi (troppo) spesso scavalcate da protagonismi, esigenze di dare risposte inevitabilmente affrettate all’opinione pubblica che – questo è il grave residuo di altre azioni giudiziarie che hanno segnato il nostro Paese con l’acme di Tangentopoli – non distingue più i provvedimenti cautelari dalle pene.

Mentre ancora non si era riusciti a capire di chi fosse quell’impianto – del Comune? della Regione? – interrogativo tutt’ora senza risposta certa, c’erano già i colpevoli. Eccoli, indicati come presunti tali dal Procuratore della Repubblica di Verbania, Olimpia Bossi all’atto del fermo: il caposervizio Gabriele Tadini, il primo e l’unico ad ammettere di aver messo l’ormai famoso forchettone impedendo il funzionamento del freno di emergenza, il direttore di esercizio Enrico Perocchio e il gestore Luigi Nerini, chiamati in causa dal primo, ma che all’esame degli atti e dopo gli interrogatori del gip sono stati scarcerati per “totale mancanza di indizi che non siano mere, anche suggestive supposizioni”.

Forse spunteranno altri indagati oltre ai tre, ma a questa tragedia che esige giustizia si è risposto in un modo che lascia molto, molto perplessi. “È comprensibile che si cerchi di sapere e capire il prima possibile. Ma un processo si nutre di dubbi, non di certezze maturate in 48 ore. Ci saranno perizie, accertamenti di vario genere, testimonianze. L’applicazione del fermo getta subito in pasto all’opinione pubblica i mostri. Questo mi dà da pensare”, aveva detto pochi giorni fa Alberto De Sanctis, presidente della Camera Penale del Piemonte occidentale. Pensieri che avrebbero trovato più di una ragione quelle di De Sanctis che aveva aggiunto: “Ma dare subito per scontate le responsabilità, affrettarsi a emettere sentenze, non fa bene a nessuno”.

Pm che dichiarano, che spiegano, che vanno davanti alle telecamere quando c’è l’umana attesa di capire il perché di una strage, che poi tornano davanti ai microfoni dopo la decisione del giudice senza nascondere una tensione che tradisce delusione, come se quei fermi fossero davvero stati una sentenza anticipata e non un passaggio, uno dei primi giusto o sbagliato che sia, di indagini complesse. Viene spiattellato pure il (sempre presunto) movente: la sete di denaro, l’avidità che fa funzionare una funivia per incassare biglietti anche se salire su quella cabina è peggio della roulette russa.

“Il ministro della Giustizia Marta Cartabia, quando in commissione ha delineato le sue linee programmatiche ha detto una cosa: è fondamentale il riserbo dei magistrati nelle fasi iniziali delle inchieste”, ricorda Enrico Costa che della Giustizia è stato viceministro, è avvocato e prima nelle fila di Forza Italia e adesso in Azione è l’incarnazione parlamentare del garantismo. Termine che non riesce facile da pronunciare a Enrico Letta, tant’è che il segretario del Pd, “per svilire della battaglie garantiste che – spiega Costa – noi facciamo da anni”, si è pure inventato gli impunitisti per contrapporli ai giustizialisti.

La tragedia del Mottarone, con quell’indagine lampo e con gli inquirenti sotto i lampi dei fotografi, è l’ennesima immagine sotto il profilo giudiziario di una stortura talmente grande da portare chi chiede il rispetto delle regole a finire, nel tribunale dei social e dei media, sul banco degli imputati insieme a coloro che, come in questo caso, sono ancora indagati. “Io non voglio fare quel che contesto agli altri, dunque nulla più lontano da me di un processo alla Procura. Mi piacerebbe, però – osserva Costa – che le indagini si svolgessero nelle sedi proprie, gli uffici della Procura, non sui giornali dove vengono pubblicati gli interrogatori o nelle trasmissioni televisive dove le telecamere riportano le dichiarazioni dei pm, che per riserbo dovrebbe svolgere le inchieste lontano dai riflettori”.

Se l’ex parlamentare radicale Marco Taradash di fronte alla decisione del gip di Verbania scrive: “Credo che molti giornali debbano riscrivere i loro articoli dell’ultima settimana”, non va lontano dal vero: il mostro, i mostri in prima pagina serviti direttamente dagli inquirenti. Aggiornamenti in tempo reale dell’andamento degli interrogatori, stralci di questi diffusi sulla stampa. Costa ricorda come ci siano “delle norme e dei principi che vanno rispettati, sempre”. Le vittime del Mottarone non possono ricevere giustizia se non con “indagini puntuali, precise che hanno nel riserbo una della loro basi”. Lo dice allo Spiffero nello stesso giorno in cui la pm intervistata da Radio Veronica One nega di vivere la decisione del gip “come una sconfitta”. Poi anticipa passaggi dell’inchiesta: “Valuteremo in che termini sapevano dell’uso dei forchettoni e se hanno consapevolmente partecipato o se si sono limitati ad eseguire indicazioni provenienti dall’alto”.

Parole quelle dei pm, in questo come negli altri casi, che per Costa, “vista la durata dei processi, sono purtroppo la vera sentenza. Quella vera quando arriva non interessa più a nessuno”. Bizzarria del destino e dei tempi della giustizia, mentre si piangono i morti della funivia e il giudice sconfessa, in gran parte, la tesi dell’accusa, arriva (dopo 5 anni) l’assoluzione dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti e a ruota, ma soprattutto a sorpresa, le scuse di Luigi Di Maio con la promessa: “Mai più gogna”.

Sincera resipiscenza o manovra politica? “Sono andato a riprendermi i resoconti della conferenza stampa della Procura di Lodi dove era stato rappresentanti un capo d’accusa che equivaleva a una sentenza. Quanto a Di Maio non voglio fare un processo alle intenzioni, ma oggi vediamo i Cinquestelle e la Lega che hanno approvato la legge più giustizialista degli ultimi anni, la cosiddetta Spazzacorrotti, e che adesso uno chiede scusa e l’altra propone un referendum pur essendo parte di un governo e di una maggioranza che le riforme che dovrebbero fare”. Sui grillini, il deputato piemontese è ancora più duro: “Hanno basato la loro nascita e crescita sul giustizialismo e adesso chiedono scusa del loro oggetto sociale, un po’ come se la Fiat avesse chiesto scusa per aver costruito automobili”.

Li ha sfidati, l’ex viceministro, i “garantisti” dell’ultima ora: “Vediamo come voterete sulla prescrizione, sul divieto alle conferenze stampa dei pm, all’oblio in rete per chi è stato assolto. Norme che garantiscono la presunzione di innocenza”. Quella che non può e non deve venir meno neppure di fronte ai morti del Mottarone. Ai quali è dovuta assolutamente giustizia, senza spettacolarizzazioni e corse in avanti, verso le telecamere. Senza lentezze dei processi che non possono, né devono trovare fallace rimedio in atteggiamenti, su vari fronti, che fanno strame del voto a larghissima maggioranza (427 sì e un solo contrario) con cui la Camera l’altro giorno ha approvato il rafforzamento della presunzione di innocenza.

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