Difendere la Repubblica dai nostalgici

Vi è stato un tempo in cui un partito, che attualmente siede al governo, invocava la secessione del Paese. All’epoca, una manciata di anni fa, i suoi militanti si ritrovavano alle pendici del monte Monviso per celebrare il fiume Po con un rito dal vago sapore pagano. Molti iscritti a tale schieramento politico avevano scelto di radunarsi in una sorta di milizia dalla divisa verde e tifavano per i vulcani Vesuvio ed Etna, o meglio per le loro eruzioni laviche che mettevano a rischio alcune città del Meridione.

L’aggregazione partitica aveva ancora il sostantivo “Nord” nel simbolo (ora eliminato a favore di una nuova veste nazionale) e si vantava di poter disprezzare senza falsi pudori sia il Risorgimento (invitando tutti a sputare sulle statue dedicate a Garibaldi) che i “napoletani” (il comico Paolantoni seppe trasformare questi atteggiamenti dal sapore razzista in una tagliente parodia).

La Jugoslavia ha insegnato che per distruggere una nazione necessita essere tutti d’accordo. Occorre stimolare grandi sentimenti di odio per convincere i cittadini a spararsi addosso: vicini di casa contro vicini di casa; compagni di scuola tra loro; colleghi di lavoro e amici che passano dai saluti al darsi rabbiosamente la morte. Costruire odio etnico a tavolino, maestro in questo campo fu il nazismo, per assicurare una poderosa spallata all’unità statale e ricostruire un nuovo sistema di potere.

Verso la fine degli anni ’90 il “Fronte dell’odio italico” si è improvvisamente ampliato con la nascita dei gruppi neoborbonici, che si sono affiancati agli indipendentisti veneti e lombardi. Gli ultimi arrivati si dimostrarono immediatamente creativi nell’inventare fatti e manipolare la Storia: adottarono i vessilli della dinastia borbonica narrando al contempo il rimpianto per un “passato splendido” (solo immaginato).

L’efficace campagna di comunicazione dei neoborbonici è stata affidata soprattutto alla costruzione (fatta ad hoc) di indiscutibili simboli del “colonialismo piemontese”, nonché del “genocidio etnico” compiuto ai danni dei meridionali (come si legge nei tanti siti identitari borbonici).

Di conseguenza due risorse culturali del territorio torinese sono state convertite dai sovranisti borbonici in crudeli luoghi di sofferenza. Il Forte di Fenestrelle da fortezza è diventato così il luogo dove furono massacrati 40, diventati poi 400-4.000 e infine 40.000, soldati borbonici, mentre al “Cesare Lombroso” è stato negato il ruolo di museo per essere etichettato quale “Fossa comune di meridionali” (i crani che conserva sono di individui provenienti da tutta l’Italia, Piemonte compreso).

Il battage quotidiano ha sortito i suoi effetti e in pochi anni è nato il mito del “Lager di Fenestrelle” insieme a quello di “Lombroso nazista”. Al crescere dei militanti filoborbonici alcuni politici hanno intuito come un nuovo serbatoio di voti si fosse materializzato innanzi. In tale contesto è maturata probabilmente l’ultima grave presa di posizione di un senatore della Repubblica nei riguardi del museo criminologico torinese: una richiesta di chiusura degna delle peggiori epoche oscurantiste del passato.

La presenza dell’onorevole Borghezio (all’epoca dirigente della Lega Nord e attualmente testimonial del gruppo di estrema destra “Legione Subalpina”) alle celebrazioni neoborboniche fenestrellesi del 7 maggio 2010 conferma il progetto politico da cui traggono nutrimento le radici del movimento filomonarchico del Sud Italia. Un progetto che non arretra neppure di fronte alle innumerevoli ricerche di archivio dei tanti studiosi che smontano letteralmente le fantastiche teorie antistoriche, soprattutto quelle incentrate su un ruolo passivo del Meridione durante il Risorgimento. Donne e uomini del Sud hanno combattuto per unire l’Italia al pari di quanto avvenuto al Nord: non hanno subito gli eventi piegandosi al colonialismo sabaudo, ma sono stati coraggiosamente parte del processo unitario (la storiografia ufficiale borbonica dimentica infatti tra i tanti “ribelli” Carlo Pisacane e Guglielmo Pepe).

La casata dei Borbone attualmente è divisa, sembra però che gli eredi alla corona napoletana (Don Carlo di Borbone e la Principessa Beatrice) non mostrino imbarazzo sfilando davanti alle ricostituite truppe delle Due Sicilie, pronte a presentare le armi e i vessilli reali al loro passaggio.

I successori dell’ultimo Re Borbone ritengono non necessario smentire le tante fake news messe in giro dai loro sostenitori (cosa invece fatta recentemente dall’altro ramo), mentre si adoperano energicamente per assegnare anche a politici della Repubblica (tra cui il Presidente Berlusconi) l’ambita investitura al “Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio” (ordine cavalleresco di cui la Principessa Beatrice di Borbone è Gran Prefetto).

Alla luce dei fatti sin qui analizzati il dato che più stupisce riguarda l’esito del Referendum Monarchia/Repubblica del 2 giugno 1946 che vide per i Savoia uno schiacciante successo proprio al Sud: a Napoli vi furono addirittura scontri all’esito delle votazioni, alimentati da monarchici inferociti che provarono a dare l’assalto a una sede del Pci (colpevole di aver esposto immediatamente il tricolore privo dello stemma sabaudo).

Il Paese è ostaggio di nuovi fanatici ideali identitari/campanilistici, e l’Italia pian piano rischia di sfaldarsi. Torino è la città che più di altre subisce ripetutamene infondate e ingiuste accuse di immaginarie nefandezze avvenute durante il Risorgimento (la capitale sabauda accolse invece esuli politici provenienti da tutta la penisola), generando un clima d’odio che non si consuma solo tra le tifoserie degli stadi. Una situazione triste, drammatica, spesso ignorata dalle Istituzioni, ma forse giunta finalmente a un punto di svolta. Il voto del Consiglio comunale del 7 giugno scorso a favore dell’ordine del giorno Giovara-Artesio di solidarietà al Museo di Antropologia Criminale (dopo il duro attacco di un Senatore filo borbonico) sembra dimostrare una rinata presa di coscienza da parte della politica.

Le fake news, le manipolazioni della Storia a fini politici, le ambizioni di nuovi e vecchi sovrani non si impediscono guardando altrove, facendo finta di niente, ma prendendo una netta posizione a difesa della Repubblica e dei suoi valori costituzionali: unico vero antidoto alle tante voglie separatiste e reazionarie.

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