Equità (fiscale) fa rima con giustizia

È dal 1974 che in Italia si discute di una riforma fiscale organica senza venire a capo di nulla: da Tremonti a Visco, da Prodi a Monti o Renzi la navigazione tributaria è stata priva di rotta. Quando la riforma Visentini entrò in vigore, nel '74 appunto, la popolazione mondiale era inferiore a 4 miliardi di persone, Andreotti era vivo, John Lennon pure, lo spread non sapevamo cosa fosse, l’inflazione ci aggrediva ogni giorno e l’avvocato Agnelli era a sciare a Saint Moritz la mattina e a presiedere Confindustria al pomeriggio.

Da allora il mondo è cambiato moltissimo, tanto rapidamente quanto mai prima nella storia, al punto che questo articolo quasi tutti lo stanno leggendo su un telefono; cose meravigliose sono accadute ed altre orrende: John Lennon è stato ucciso, ma sul piano della normazione fiscale si è proceduto in modo senz’altro disorganico, ora introducendo ed ora revocando imposte sostitutive, di scopo, di pace, una tantum, di guerra, de noantri.

Il tema scatena faziosità, corporative se non tribali, ad alta ricerca del consenso dove quasi tutte le proposte dei partiti della odierna maggioranza sono destinate ad elidersi a vicenda: la Lega non voterà mai la patrimoniale del Pd, e viceversa la flat tax. Interpellando idealmente uno ad uno i contribuenti italiani sulla principale caratteristica che deve avere il nostro sistema fiscale, in gran spolvero vincerebbe una prerogativa su tutte: equità; se questo è vero, è corretto concludere che l’odierno sistema tributario è per lo più avvertito, se non del tutto iniquo, non equo quanto la sensibilità comune vorrebbe, pur per ragioni diversissime tra distinte classi di contribuenti; iniquo infatti significa “troppo esoso” per taluni ed allo stesso tempo”poco progressivo” per altri: appaiono – senza esserlo – ragioni opposte o inconciliabili, in realtà raccontano da differenti punti di vista la stessa insufficiente equità.

È equo un sistema fiscale incardinato su un’unica imposta progressiva, l’Irpef, ed imposte piatte o flat per la totalità, tra dirette e indirette, di quelle restanti? Imu, Ires, Iva, Irap e accise infatti colpiscono con un’aliquota unica l’imponibile sottostante indipendentemente dalla dimensione dello stesso. È equo? È equo che l’aliquota marginale Irpef, che so, del primo presidente della Corte di Cassazione o del presidente della Repubblica (circa 250 mila euro lordi annui) sia la stessa di Silvio Berlusconi o Leonardo del Vecchio (circa 50 milioni lordi annui)? Possono a chiunque apparire redditi comparabili da trattare l’uno alla stregua dell’altro? Può la progressività dell’unica imposta progressiva che abbiamo, l’Irpef, interrompersi a 75 mila euro per divenire ultra flat oltre tale soglia?

Eppoi. È equo (accettabile?) che all’interno dello stesso sistema impositivo redditi da lavoro di eguale importo ricevano trattamenti tributari pesantemente distorti se di natura autonoma o dipendente? A parità di reddito annuo, è equo riservare al solo lavoro dipendente preziose forme di sostegno, dalla maternità alla malattia agli assegni familiari, invece indisponibili agli autonomi? Una somma di denaro, comunque guadagnata, non ha sempre la stessa capacità di contribuire fiscalmente, tanto che provenga da lavoro autonomo, dipendente, rendite, affitti, o un mix di esse?

E venendo all’ambito societario, è equa un tassa come l’Irap verso la quale è tra l’altro indeducibile il costo del lavoro? Ancora: è equo pagare le tasse su un bilancio in perdita? Eppure è quanto accade a più di cento mila impresa in Italia alle quali, con un trucco da trecartari, lo Stato imputa ugualmente variazioni in aumento del reddito imponibile per effetto del losco disallineamento tra risultato fiscale e civilistico: basta rendere indeducibili un po' di Imu, di interessi passivi, del parco auto aziendale e il gioco è fatto. Sennonché ciò che autenticamente descrive il così detto andamentale di un’impresa è il piano civilistico e non certo quello derivante da rettifiche artificiose rese fiscalmente rilevanti al solo scopo di recuperare gettito anche in assenza di profitto: se non una frode, una patrimoniale.

È equo, come recentemente emerso al G7, proporre di colpire con una tassazione al 15% i profitti delle più grandi multinazionali del pianeta – imprese che generano molti, molti miliardi di utili ogni anno – mentre qui da noi (ma in qualunque parte del mondo) alla piccola s.r.l. con diecimila euro di imponibile abbiamo la sfrontatezza di applicare aliquote nominali (Ires + Irap) del 27,9%, tralasciando la reale, ben maggiore pressione fiscale a causa del perverso meccanismo prima illustrato?

Nell’augurio che non venga mai approvata, saremmo in presenza di una imposta tecnicamente regressiva ovvero di una aliquota che diminuisce all’aumentare della base imponibile. Comunque la si veda, può mai una simile proposta avere spazio in un sistema che reclama maggiore equità? Ed anche in tema patrimoniale, ne ho già scritto, è equo colpire alcune componenti come gli immobili e non altre come la liquidità?

Infine, chiudendo con la riscossione tributaria il cerchio della agognata equità, è giusto permettere alla Lega di rifondere in 75 anni i 49 milioni di euro che un Tribunale della Repubblica ha stabilito esser stati frodati allo Stato mentre a qualunque altro contribuente è inaccessibile una rateazione oltre i dieci anni? E anche di questo ho già scritto.

In definitiva equità fa rima con giustizia o – ancor meglio – quanto più l’iniquità trova spazio tanto meno la Giustizia si afferma. L’attuale esecutivo, l’attuale Parlamento sono quindi alle prese con l’ennesimo tentativo di riformare strutturalmente la fiscalità nazionale; capiremo entro qualche mese quale sorte avremo, via via che il governo tenterà di estrarre dalle parti in gioco ogni spunto coerente con l’impianto generale della riforma sin qui prefigurata. Sarà finalmente la volta buona grazie all’usbergo magico di super Mario? Vedremo, ma in conclusione è utile – e comunque giusto – rimarcare quanto statuito dall’articolo 53 della nostra Costituzione che, col duplice pregio della chiarezza e della sintesi, testualmente recita in due sole frasi: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Si voglia noi tutti prendere buona nota: “criteri di progressività” (e non di proporzionalità).

print_icon