LOTTA AL COVID

Variante Delta, incubo chiusure.
Ma vanno cambiati i parametri

Il ministro Speranza annuncia il rischio di nuove restrizioni. I numeri del Piemonte al momento sono buoni. L'epidemiologo Costa: "Il dato principale da considerare è quello dei casi gravi e della pressione sugli ospedali che il modello inglese tende ad escludere"

Né psicosi, né sottovalutazione. È nella terra di mezzo tra questi estremi che ci si dovrà muovere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi quando la variante Delta del Covid, in Italia ormai già dominante sulla Alfa ovvero l’”inglese”, porterà a una crescita anche notevole dei contagi, ieri al di sotto del centinaio (84 positivi su 15.157 tamponi) in Piemonte. Ci si dovrà muovere anche aggiustando e cambiando regole e parametri, incominciando da quelli in base ai quali far scattare le eventuali restrizioni a seconda del colore assegnato ad ogni singola regione. Soprattutto per evitare che il solo numero di casi positivi porti, pur senza essere di fronte a una pressione sugli ospedali o a un elevato tasso di casi gravi, a chiusure che sarebbero non solo difficilmente sopportabili, ma soprattutto irragionevoli. Il bollettino di ieri attestava 50 ricoverati con un calo di 5 rispetto al giorno precedente e 4 in terapia intensiva. Cifre lontanissime da quelle, enormi, che hanno segnato le prime tre ondate quando il vaccino ancora non c’era o era appena arrivato e gli ospedali rischiavano un pericoloso avvicinamento al punto di crash. E se da quei numeri drammatici si resterà lontani anche quando i casi, complice la contagiosità della variante Delta, aumenteranno in maniera consistente avrà ancora senso applicare le misure restrittive che hanno segnato lo scorso anno e la prima parte di questo come non esclude il ministro Roberto Speranza tornando a paventare il rischio di nuove chiusure? Ne parliamo con Giuseppe Costa, epidemiologo, docente di Sanità Pubblica all’Università di Torino, uno degli esperti che guidano le scelte del Dirmei e della Regione dall’inizio della pandemia.

Professore, ha senso stabilire un ritorno in zona gialla o arancione basandosi sul tasso di diffusione del virus anche se i suoi effetti, grazie ai vaccini, saranno decisamente meno gravi?
“Come davanti ad ogni rischio, bisogna prendere le migliori contromisure. Ma non è che il sistema dei colori non funzioni, il fatto è che vanno cambiati i parametri”.

Cambiare i parametri e più del numero dei positivi tenere conto dei casi gravi e della pressione sugli ospedali. È così? 
“Esattamente.  Abbiamo la fortuna di avere il Regno Unito che fa da apripista, visto che hanno incominciato ad avere la diffusione della variante Delta già da aprile, ed è in grado di documentare quattro mesi sotto il profilo dei casi gravi, dell’impatto sugli ospedali e dei decessi. Premesso che in quel Paese c’è una maggiore copertura vaccinale, però appare chiaro che non ci sia nessuna ricaduta significativa sulla mortalità e sui ricoveri, se non per quanto riguarda i soggetti che non hanno ricevuto la seconda dose e quindi non hanno una copertura completa”.

Quindi una ragione in più per correre sulle vaccinazioni, fare la prima dose a chi ancora l’aspetta o peggio non si è deciso a farla e accelerare sui richiami? La domanda è banale, ma dovuta di fronte a una parte della popolazione che ancora non ha aderito alla campagna.
“Assolutamente è importante vaccinare il più possibile, compatibilmente con le dosi assegnate. I rischi li corre chi non è vaccinato. Per fortuna da noi i soggetti fragili, gli anziani, chi ha patologie particolari, sono quasi tutti immunizzati. Serve andare veloci per fare le seconde dosi, visto che contro la Delta una dose soltanto ha un’efficacia che non supera il 30 per cento”.

Torniamo all’apripista Gran Bretagna e alla diffusione massiccia della Delta anche in altri Paesi europei che stanno tornando a misure di restrizione. Cosa dobbiamo attenderci nelle prossime settimane? 
“Ci aspettiamo che da noi succeda la stessa cosa. La delta è molto più contagiosa della variante inglese a sua volta con un indice di contagio superiore al ceppo nativo. Si parla della capacità di un singolo caso di contagiarne sette o otto, contro tre del nativo. Logico attendersi che i contagi raddoppino in fretta tra i non protetti dal vaccino”. 

Lo scenario?
“Ci sarà qualche focolaio e qualche decesso, ma i numeri saranno modesti. L’unica ragione per controllare la diffusione del virus è evitare il più possibile le replicazioni e quindi le potenziali mutazioni, più pericolose. E poi va garantita assolutamente la scuola in presenza e lo si fa, ovviamente con le vaccinazioni e con una efficace attivata di screening e di contact tracing".

Si sta discutendo sul modello francese del Green Pass per accedere a una serie di luoghi e attività. Lei cosa ne pensa? 
“Noi lo suggerivamo già a dicembre, ma allora la scarsità di vaccini poneva un problema di discriminazione. Adesso credo che sarebbe un’ottima soluzione”.

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