DIRITTI & ROVESCI

Violenze al carcere di Torino, in 25 verso il processo

Tra i reati contestati la tortura. Indagati anche Domenico Minervini e Giovanni Battista Alberotanza, all’epoca dei fatti direttore dell'istituto di pena e comandante degli agenti

Botte e umiliazioni ai detenuti. I superiori che si prodigano per minimizzare o insabbiare. Parla di questo l’inchiesta della procura di Torino su episodi avvenuti nel carcere delle Vallette, alle porte del capoluogo piemontese, che oggi è sfociata in 25 richieste di rinvio a giudizio. Fra i reati contestati c’è anche la tortura. La maggior parte degli indagati sono agenti di polizia penitenziaria; poi c’è il loro comandante all’epoca dei fatti, Giovanni Battista Alberotanza, e l’allora direttore del carcere, Domenico Minervini, entrambi rimossi dopo la chiusura dell’indagine, e un paio di rappresentanti di un sindacato autonomo di categoria. Si procede, a seconda delle singole posizioni, per favoreggiamento, omessa denuncia, rivelazione di segreti d’ufficio, abuso di autorità per episodi avvenuti tra il 2017 e il 2019. Le violenze avvenivano nel padiglione C, dove sono rinchiusi i detenuti per reati sessuali ma anche quelli con problemi psichici.

“Ti renderemo la vita molto dura”, “per quello che hai fatto qua ci devi morire”, “ti ammazzerei invece devo tutelarti” erano alcune delle frasi che, a leggere i capi d’accusa, accompagnavano vessazioni, percosse, sputi, pestaggi. C’è il caso dell’uomo preso a ceffoni il giorno stesso del suo arrivo, di quello prelevato dalla cella in piena notte per essere picchiato, di quello colpito al volto (con fuoriuscita di sangue dal naso) mentre lo caricavano in barella per una crisi psicomotoria, di quello costretto a stare faccia al muro per quaranta minuti a ripetere “sono un pezzo di merda”. L’indagine prese le mosse quando il garante dei detenuti per il Comune di Torino, Monica Gallo, dopo avere raccolto alcune segnalazioni, decise di rivolgersi alla procura. Come “persone offese” sono stati individuati undici detenuti e le onlus Antigone e Associazione lotta contro le malattie mentali.

Dagli insulti alle violenze fisiche, gli episodi finiti nelle carte del pm Francesco Pelosi risalgono al 2017 e si sono protratti fino al 2019 quando è partita l’indagine. “Adesso andiamo a divertirci” diceva al telefono con la sua fidanzata un agente, ora indagato, prima di una delle missioni punitive nei confronti dei detenuti. Non si parla di casi isolati ma vere e proprie prassi consolidate di fronte alle quali, almeno stando agli inquirenti, chi avrebbe dovuto porre un freno non l’ha fatto.

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