Vent'anni dall'inizio della fine

Vent’anni fa (19-22 luglio del 2001) il Presidente del Consiglio Berlusconi riceveva a Genova gli otto leader dei Paesi finanziariamente più potenti del pianeta. I vertici politici mondiali si incontravano periodicamente già da qualche anno per decidere le sorti economiche dell’intero globo. L’Europa neoliberista, tramite i summit, affidava alla finanza la risoluzione dei conflitti sociali, ma di fatto favoriva l’accentrarsi della ricchezza mondiale nelle mani di pochi cinici speculatori.

Le aggressive teorie economiche occidentali, rinvigorite dalla caduta del sistema sovietico, veneravano la globalizzazione del commercio insieme alla privatizzazione di qualsiasi servizio in mano all’apparato pubblico. Una ricetta dagli effetti devastanti per intere popolazioni, per l’ambiente, nonché per gli stessi cittadini occidentali che assistevano inermi alla distruzione di tutti i diritti conquistati negli anni ‘60/’70.

In opposizione alla visione di un mondo retto esclusivamente dal denaro e dagli uomini d’affari, si elevarono le voci di protesta di una moltitudine raggruppata nella compagine “No global”. Il movimento antiglobalizzazione chiamava a raccolta giovani da ogni parte del mondo, i quali scendevano in piazza ogniqualvolta i cosiddetti “Grandi” si incontravano per decretare il destino del mondo.

L’appuntamento di Genova coincise con l’apice della mobilitazione degli antiglobalisti, i quali nel 2001 includevano ampie frange del movimento cristiano terzomondista, dell’antagonismo europeo e delle aggregazioni storiche della sinistra socialcomunista. L’organizzazione era in grado di contare anche su un team di medici, di avvocati e su una rete di informazione in tempo reale (Indymedia insieme alle radio di movimento). Coloro che guardavano a un nuovo mondo “Possibile” erano quindi in grado di affrontare nel migliore dei modi qualsiasi tensione sorta a ridosso delle tristemente note “Zone Rosse” (l’invalicabile fascia di sicurezza a protezione dei vertici mondiali).

Pochi amano ricordare che nel luglio 2001 il Vicepresidente del Consiglio era Gianfranco Fini (Alleanza Nazionale ex Movimento Sociale Italiano) e che il Governo Berlusconi aveva in mano le redini di tutte le forze dell’ordine in campo per garantire lo svolgimento del G8: quel che accadde sulle strade genovesi durante il summit macchiò in maniera indelebile l’onore degli apparati statali di pubblica sicurezza.

Contro il G8 ligure si mobilitarono decine di migliaia di persone raggruppate in cortei pacifici che manifestavano a fianco di corposi gruppi determinati nel voler raggiungere l’area del meeting internazionale: purtroppo numerosi agenti provocatori vennero infiltrati tra le fila di questi ultimi con lo scopo di creare disordini. Carabinieri e Celere decisero di non fare distinzioni e picchiare forte nel mucchio, senza badare alle teste su cui facevano calare i manganelli. A Genova in quei giorni rimasero a terra numerosi feriti di tutte le età, donne e uomini, e a poco valse la solidarietà dei genovesi pronti a spalancare i portoni di casa per ospitare chi fuggiva dalla furia della polizia.

Il pomeriggio del 20 luglio scoppiarono ulteriori scontri dovuti a uno strano errore nel percorso fatto da un reparto di Carabinieri che andò a intersecare un corteo sino a quel momento pacifico. Durante i tafferugli, da un defender dell’Arma vennero sparati due colpi di pistola e Carlo Giuliani (23 anni) rimase a terra in una pozza di sangue. Seppur steso sul selciato, il corpo del giovane venne ancora colpito sulla testa con una pietra: lo scopo di tale efferato atto era quello di depistare le indagini sulla responsabilità dell’uccisione, e poterla attribuire a un tiro di sassi da parte dei manifestanti. In piazza Alimonda si realizzò Il primo di una lunga serie di depistaggi ai danni della verità.

Il sangue versato da Carlo non impedì alle forze dell’ordine di compiere il giorno seguente un raid punitivo alla scuola Diaz, dove No global provenienti da vari paesi europei avevano trovato riparo grazie alla disponibilità del comune genovese. Un attacco assolutamente gratuito in seguito al quale un giornalista inglese subì una serie di durissimi pestaggi che lo fecero cadere in coma, mentre decine di persone patirono gravi atti di violenza che segnarono la loro l’esistenza. I primi reporter che entrarono alla Diaz, al termine del blitz della polizia, immortalarono pavimenti e pareti lorde di sangue. 

Le torture inferte a chi venne prelavato dalla scuola e portato alla caserma di Bolzaneto, crudeltà compiute mentre uomini in divisa intonavano inni fascisti, furono l’ennesimo terribile sfregio alla Costituzione ad opera dello Stato.

Vent’anni sono trascorsi da quelle giornate di luglio: nulla è più come allora. I colpevoli di quella durissima repressione poliziesca sono stati individuati, sospesi e poi reintegrati in servizio, mentre il movimento No global ha ricevuto un colpo mortale che lo ha letteralmente spazzato via. Oggi le speranze di un pianeta unito nel nome delle genti e non del mercato sono state soppiantate dal sovranismo nazionalista, ossia da una fede politica che ama i conflitti bellici e non mette affatto in discussione i disequilibri sociali.

Nel frattempo il Pubblico è stato saccheggiato, la sanità privatizzata in gran parte con tutto quello che ne è conseguito in epoca pandemica (disagi e resa del sistema innanzi alla malattia). Attualmente una quota ancor più piccola di persone, rispetto a due decenni fa, detiene una maggior quantità di ricchezza a scapito dei più.

Spaccare teste nel 2001 ha aiutato i ricchi ad essere ancora più ricchi e ha concesso ai poveri ulteriori quote di miseria: l’ingiustizia genera sempre altra ingiustizia.

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