Il fallimento del post Sistema Torino

Quale deve essere il rapporto più virtuoso tra ambiente, salute e occupazione? Chi deve prevalere sull’altro? Come conciliare crescita e politiche green in un momento che più di altri necessita attenzione verso il nostro pianeta? Era un dibattito sindacale degli anni ’70 che il pacchetto Fit for 55 fa tornare di moda. Infatti inasprire i target di riduzione delle emissioni di Co2 previsti dalla regolamentazione vigente, fissandoli a -55% per le auto (rispetto al -37,5%) e -50% per i veicoli commerciali leggeri (rispetto al -31%) entro il 2030; e introducendo un nuovo target al -100% al 2035 costringe le aziende a scelte che oggi non sono in grado di realizzare e quindi con il rischio di forti impatti negativi sull’economia e sui livelli occupazionali.

L’Europa è diventata un po’ grillina accelerando processi che si rischia di non governare e quindi l’unica ipotesi rimane poi quella di interventi assistenziali. Ed è quello che un po’ sta già facendo anche parte del mondo sindacale torinese invocando più ammortizzatori sociali a fronte di una crisi della filiera automotive di cui non si vedono prospettive o meglio non si vede un piano organico sul territorio.

Il fatturato del settore automotive in Italia mostra una crescita del proprio indice dell’89,6% a maggio, grazie soprattutto alle commesse del mercato interno (+103,6%), rispetto a quelle verso l’estero (+72,8%). Nei primi cinque mesi del 2021, il fatturato aumenta del 65,2%, in crescita dell’81,4% nel mercato interno e del 46,4% verso il mercato estero. Se facciamo il confronto con il 2019, il fatturato del settore automotive risulta, invece, in calo del 9,3% a maggio e in crescita del 3,7% nei primi cinque mesi dell’anno. Nel dettaglio, la fabbricazione di autoveicoli genera un fatturato complessivo che aumenta del 101,4% rispetto a maggio 2020 (+109,4% per il mercato interno e +88,9% dai mercati esteri) e del 73,2% nel cumulato (+88,5% per il mercato interno e +50,9% dai mercati esteri); la fabbricazione di parti per autoveicoli e loro motori genera un aumento del fatturato, a maggio, del 76,1%, +98,8% verso il mercato interno e +58,5% verso i mercati esteri, mentre nei primi cinque mesi del 2021 cresce del 53,5%, grazie, soprattutto, alla crescita del 69,1% del fatturato verso il mercato nazionale, mentre, per quanto riguarda l’export, la crescita è del 41,5%. Certo i dati confrontati con il 2020 sono viziati dalla pandemia ma i dati segnalano una forte ripresa verso la normalità.

Allora se tutto non va così male c’è un problema specifico torinese dove non si riesce a fare sinergie e squadra per pensare a repentini cambiamenti di prodotto e processo sulla filiera automotive. Però siamo bravi a scrivere letterine. L’ultima, unanime dei molti attori sociali, è rivolta a Mario Draghi chiedendogli un incontro sul futuro del capoluogo e dell’automotive. Peccato che sin dall’inizio la squadra non era coesa, chi tifava per Scarmagno, chi per Mirafiori, Alberto Cirio per tutte e due.

L’incontro è stato definito dal governatore del Piemonte “costruttivo”, dimenticando che nell’accezione democristiana un incontro “franco e costruttivo” era di solito un incontro senza esito. Infatti i nostri due, sindaca e presidente, accompagnati dal Pd della Crocetta, la vicepresidente del Senato Anna Rossomando, hanno elencato le loro richieste che corrispondono alle loro sconfitte. Gigafactory a Scarmagno, Intelligenza artificiale e il solito mantra del manufacturing center e aerospazio.

Il problema vero è che se le Istituzioni sono dovute andare dal Presidente del Consiglio significa che il Piemonte e Torino contano, ormai, poco nel panorama italiano. E la colpa non è di altri. È il fallimento del post Sistema Torino che non ha saputo costruire un’alternativa, di una classe dirigente sociale, politica, istituzionale, imprenditoriale che ha sparato contro Fiat e Fca per dieci anni dicendo che la stagione di produrre auto a Torino era finita e ora rivendica la filiera dell’automotive. Un suicidio politico.

Inoltre, mentre si chiede ancora la Gigafactory (a Scarmagno?) c’è già e ancora chi sostiene che tanto la Gigafactory non portava tecnologia, poco sviluppo e quindi averla persa non è un gran danno a dimostrazione della coesione del territorio.

Quindi un altro harakiri gianduiotto dove invece il “capolavoro” politico lo ha fatto la Fiom con la sua manifestazione due giorni prima della non assegnazione della Gigafactory. “Nuffiando” l’aria meglio di altri e in pieno stile Fiom (rivendico ciò che non posso ottenere ma ottengo consenso proprio senza ottenere il risultato), con una buona dose di populismo di sinistra, ha alzato il tiro rivendicando la Gigafactory insieme a tutti gli stakeholder torinesi (mancava il Vescovo) e riaffermando il suo ruolo di interlocutore torinese verso di essi.

La Gigafactory era un progetto di diversificazione di un prodotto nuovo, l’elettrificazione del motore, che è alla base dei cambiamenti strutturali dell’auto. Non è tanto il prodotto in sé ma le sue interconnessioni e prestazioni nel sistema auto elettrica a dirci quanto era importante averla a Torino. Inoltre perdere la Gigafactory e rivendicare un motore per Mirafiori è di nuovo usare un populismo accattivante ma industrialmente inspiegabile. Ci servirebbe un Mancini che sappia mettere insieme la squadra ma temo che sul nostro territorio sia la squadra che non vuole mettersi insieme, ora però che abbiamo individuato il candidato Sindaco dei Cinquestelle c’è un futuro assicurato…in direzione opposta e contraria.

Arrivederci a settembre!

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