Civici di professione

Attorno alla qualità e alla consistenza del civismo c’è sempre più confusione. E il caos aumenta quando si avvicinano le elezioni comunali. Certo, per non creare ulteriore confusione, non possiamo confrontare i comuni al di sotto dei 15 mila abitanti con quelli al di sopra. E questo per una ragione molto semplice, anzi semplicissima. E cioè, nei comuni al di sopra dei 15 mila abitanti la competizione diventa inesorabilmente politica e quindi, comprensibilmente e anche giustamente, i partiti scendono in campo e diventano protagonisti. Non mancano le eccezioni anche in molti di questi comuni. Basti pensare, per fare un solo esempio, alla città di Ciriè in provincia di Torino dove il sindaco uscente si ricandida con uno schieramento civico e non legato ai partiti. Ma, appunto, sono eccezioni legate più alla rappresentatività e alla credibilità del sindaco che non a ragioni politiche.

La confusione, per restare a ciò che si diceva all’inizio, riguarda il civismo professionale. Cioè i civici professionisti. Ovvero, dei professionisti della politica che si autodefiniscono civici da sempre. Cioè sin dall’inizio della loro esperienza. Per carità, si tratta di liste che si sono sempre distinte dai partiti ma che però, al contempo, sono formate e guidate da autentici professionisti della politica. E sin qui, come ovvio, nulla di male.

L’anomalia, però, nasce dalla rivendicazione di novità, di purezza, di non contaminazione e soprattutto di discontinuità di questi professionisti della politica, e delle istituzioni, rispetto a chi milita nei partiti. Perché, alla fine, il comportamento è lo stesso. Le modalità di presenza nella società sono le medesime. E la raccolta del consenso idem. L’unica differenza consiste, appunto, nella rivendicazione moralistica della “diversità rispetto alla vecchia politica”. E ciò capita nelle grandi come nelle medie città. Perché il civismo, che resta una grande novità ed opportunità per la buona politica e la buona amministrazione, non può trasformarsi in una semplice succursale della politica partitica dove non c’è alcuna differenza di stile, di rappresentanza sociale e culturale e di iniziativa politica se non quella delle sigle con cui ci si presenta concretamente alle elezioni.

Ecco perché, forse, è giunto anche il momento per fare un’attenta riflessione sulla natura e il profilo del civismo. Perché i candidati civici che non si sono mai presentati alle elezioni e che non sono dei professionisti della politica rappresentano autenticamente una novità e una discontinuità. Cosa diversa, come ovvio e scontato, per i professionisti della politica che continuano a definirsi civici. E, in ultimo, va ripristinato forse anche un corretto e credibile rapporto tra la cosiddetta società civile con le sue esperienze, le sue ricchezze e le sue peculiarità e la realtà politica formata dai partiti. E questo non solo per il bene della politica e per la qualità della democrazia. Ma anche, e soprattutto, per evitare la solita confusione e generare le ormai troppe collaudate furbizie.

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