FINE CORSA

Appendino: "Mi sono sentita sola, senza una classe dirigente pronta"

La sindaca di Torino ammette le difficoltà a plasmare un gruppo in grado di affiancarla nelle fatiche del mandato. Ma rivendica il lavoro svolto e a poche settimane dal parto scherza: "Voterò anche dall'ospedale"

“Un sindaco si sente sempre un po’ solo. Mi è capitato quando ho sottoscritto il piano di risanamento di Gtt e poi quando ho messo tantissime firme sotto atti e documenti perché sapevo che ne avrei risposto solo io”. Assieme all’orgoglio per i risultati raggiunti – su tutti il risanamento del bilancio, con il disavanzo strutturale passato da 80 a 7 milioni, la liberazione delle palazzine ex Moi, le Atp Finals e i passi avanti sui diritti – Chiara Appendino non nega le difficoltà incontrate in questi cinque anni di amministrazione nella conferenza stampa di fine mandato, con accanto la sua vice Sonia Schellino e la candidata rilevarne l'eredità Valentina Sganga. Una su tutte è quella legata alla capacità di costruire una nuova classe dirigente in grado di mandare definitivamente in pensione il tanto vituperato (all’epoca) Sistema Torino: dai travagli della giunta a certe nomine pubbliche da dimenticare. “Non avevo una classe dirigente pronta” ammette; e si è visto sin dall’inizio con i primi avvicendamenti nella sua squadra a Palazzo Civico: l’assessore all’Ambiente Stefania Giannuzzi, giubilata all’indomani della tragedia di piazza San Carlo, la collega all’Istruzione Federica Patti, convinta a fare le valigie un anno e mezzo più tardi, fino al vicesindaco Guido Montanari destituito a giugno 2019, dopo tre anni di gaffe e tensioni.

“Il tema della classe dirigente esiste ma non riguarda solo me, la mia amministrazione o la mia forza politica, ma tutta l’Italia. Un paese in cui il sistema pubblico fatica ad attrarre competenze e capacità. E sì, non ho difficoltà a dirlo, è anche una questione economica” spiega Appendino per la quale è forse tempo di archiviare certa retorica pauperista per cui chi serve la cosa pubblica deve farlo gratis o quasi. I migliori vogliono essere pagati di più e se ti affidi ai saldi puoi fare ottimi affari – e un paio la sindaca li ha fatti al mercato dei manager pubblici, leggi per esempio il presidente di Amiat Christian Aimaro – oppure prendere delle grandi sole come le è capitato per Smat, dove i suoi uomini sono caduti uno dopo l’altro, oppure al Teatro Regio, che ancora oggi costituisce uno dei suoi principali rimpianti (“avrei dovuto commissariare subito”). Si è candidata per smantellare il Sistema Torino eppure ci sono stati dei momenti che qualche tassello di quel mosaico l’avrebbe tenuto volentieri come nel caso di Paolo Peveraro in Iren che poi è stata costretta a gettare in pasto a una maggioranza che lo identificava come l’icona di quel sistema da abbattere. Mentre dopo aver fatto fuoco e fiamme alla fine si è piegata alla raison d’etat confermando Francesco Profumo al timone della Compagnia di San Paolo.

Non era pronto il Movimento 5 stelle per amministrare Torino e se la sindaca s'è adoperata per imparare in fretta non tutti hanno mostrato la stessa tempra. Per questo sono stati numerosi i momenti di solitudine di cui lei stessa non fatica a parlare. Era sola (a eccezione del marito, Marco Lavatelli, e pochi fidati collaboratori) quando una maggioranza fuori controllo le ha di fatto imposto di rinunciare alle Olimpiadi, incrinando forse irreparabilmente il rapporto con un’ampia parte della città, ed era sola quando si è ritrovata a rispondere dell’impreparazione in parte sua (ma in larga parte di funzionari e dirigenti) per i fatti di piazza San Carlo o per il caso Ream o addirittura per l’aria inquinata. Ha sentito, eccome, “il peso per delle responsabilità che mi sono consapevolmente caricata sulle spalle e per questo dico che è il momento di legiferare per tutelare i sindaci e ringrazio il presidente di Anci Antonio Decaro per il lavoro che sta portando avanti”.

Tra le eredità di cui Appendino va più fiera ci sono i passi avanti compiuti dalla sua amministrazione sui diritti: dall’aprile 2018, giorno in cui venne trascritto per la prima volta all’anagrafe di Torino il bimbo di due mamme, a oggi sono 73 i figli di coppie omogenitoriali riconosciuti nel capoluogo piemontese, altri 4 lo saranno domani “e questa è una strada da cui non si può tornare indietro, anzi auspico che si arrivi a una norma nazionale perché non può essere demandato al singolo sindaco”.

Ma sul bilancio di fine mandato di Appendino compaiono anche tanti omissis. Sono l’altra faccia della medaglia: i morti e i feriti di piazza San Carlo, per cui la sindaca  è stata condannata a 18 mesi in primo grado; il caso Ream (6 mesi sempre in primo grado); i favori da prima repubblica per il capo del suo staff Paolo Giordana, che chiese fosse tolta una multa sul pullman a un suo caro amico. Le inchieste che hanno riguardato il suo portavoce Luca Pasquaretta, da lei stessa soprannominato "pitbull", che finì per ricattarla (secondo la Procura) dopo che lo sollevò dall’incarico per una consulenza fantasma al Salone del Libro 2018. Senza contare l’anagrafe, affidata in prima battuta all'assessore Paola Pisano la quale divenne ministra per l’Innovazione del governo Conte lasciando i torinesi in coda per la carta d’identità, mentre traslocava nel dicastero romano.

Infine Appendino non si nega qualche frecciatina a chi c’era prima quando parla di “tematiche abbandonate per anni dalle amministrazioni precedenti”, dal bilancio a Gtt passando per le palazzine dell’ex Moi. Oltre cinque anni di Palazzo Civico alle spalle e sette mesi di gravidanza l’hanno provata: “Se nasce in anticipo potrei ritrovarmi in ospedale nei giorni del ballottaggio ma state certi che anche da lì voterò”. Difficile sbagliare se si scommette su chi certamente non avrà la sua preferenza.   

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