Numeri da tagliare

Chi perde il lavoro vive un dramma i cui effetti ricadono immediatamente nella propria vita quotidiana e in quella familiare. Chiunque abbia attraversato l’esperienza della disoccupazione racconta di sofferenza, e di affetti messi a rischio da giornate segnate dalla disperazione.

Subire il licenziamento a causa di una crisi aziendale, oppure per una delocalizzazione voluta nel nome dell’aumento dei dividendi, comporta nell’immediato la decurtazione del salario (trasformato in ammortizzatore sociale a tempo determinato) e nel futuro non troppo lontano la prospettiva del “reddito zero”. Al crollo del bilancio di casa si sommano il senso di impotenza innanzi agli avvenimenti subiti e la depressione che si impossessa di chi è stato dimesso a forza.

Non avere un salario implica anche tutta una serie di dolorose scelte, tra cui valutare se pagare la locazione mensile (o il mutuo) di casa in alternativa al conto della spesa e alle bollette di luce e gas. Nel caso in cui il nucleo familiare includa figli, allora per il disoccupato diventa necessario chiedere aiuto ai servizi sociali per acquistare libri, cancelleria e quanto occorre per consentire loro di frequentare la scuola.

La solitudine caratterizza l’esistenza di chi non ha più un’occupazione, mentre il dirigente che ha firmato la lettera di licenziamento riceve di norma un premio in busta paga per avere raggiunto l’obiettivo di taglio dell’organico. Il consiglio di amministrazione, invece, a ogni ridimensionamento del numero di dipendenti può garantire ai propri azionisti ricavi più golosi.

Una tragedia che la politica troppo spesso sembra non comprendere nella sua dimensione reale. Essere ad esempio un lavoratore di Embraco comporta trovarsi da anni nell’incertezza, poiché il suo futuro è stato di fatto cancellato da manager e ministri disattenti. I lavoratori lasciati a casa vivono le loro giornate sperando nel sostegno di sindacati ed istituzioni, auspicando un supporto non solo nel reddito, ma pure nella battaglia sostenuta per fronteggiare le scelte dei “Padroni”.

Nel rapporto contrattuale di lavoro la parte debole è sempre quella del dipendente, è lui a reggere lo stress e l’impegno economico per resistere al licenziamento. La ricca normativa europea di stampo neoliberista tende a limitare molto l’azione statale in campo economico e industriale, non ammettendo gli aiuti di Stato alle aziende in difficoltà, e non riconosce la fragilità del lavoratore di fronte allo strapotere economico/legale della controparte datoriale. 

Direttive che non impediscono però allo Stato francese di essere socio azionario della multinazionale Stellantis (ossia la fusione societaria includente anche Fiat poi Fca), consentendo al governo parigino di dire la propria nelle scelte degli amministratori delegati. Le istituzioni non possono permettersi di essere spettatrici passive della deindustrializzazione in atto nel nostro Paese, nonché complici dei licenziamenti di massa e della miseria che ne deriva.

Avviare azioni governative di contrasto alle delocalizzazioni così come alle speculazioni di puro carattere finanziario, di cui le prime vittime sono sempre i lavoratori, è fondamentale per ostacolare l’anarchia del più forte imposta dal cinismo manageriale.

Gli operai, i quadri di Embraco, di Stellantis e di tante altre industrie in procinto di chiudere i battenti chiedono al Pubblico di assumersi delle responsabilità dismettendo il ruolo di semplici enti “passacarte”. Una politica finalmente concreta, e non attenta solo ai selfie, sarebbe in grado di cambiare davvero le cose: basta volerlo.

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