Transizione, provaci (ancora) Torino!

Verso la transizione ecologica o fuga dagli idrocarburi? La corsa europea al 2050 sembra un mix di questi due scenari con un limite forte in quanto l’ambiente mondiale non si salva da soli e non mi sembra che, soprattutto, la Cina, corra in questa direzione.

Rischiamo come Europa di trovarci in mezzo a un guado sempre più largo. Quale rischio correrebbe l’Europa se una volta superata la dipendenza dai combustibili fossili diventassimo dipendenti da questi materiali? Il primo problema è legato all’approvvigionamento delle materie critiche che non sarà così scontato nel prossimo futuro. Un’incertezza che potrebbe avere ripercussioni notevoli sia sulle vite dei cittadini europei, che ormai usano massivamente le tecnologie digitali, sia sulle imprese che stanno investendo nella green economy. Basti pensare ai sistemi che riducono le emissioni nell’aria – come l’eolico, il solare, le batterie di nuova concezione, le celle a combustibile, le tecnologie della comunicazione e dell’informazione e la stampa 3D, nei droni e nella robotica industriale, per esempio – c’è quasi sempre la presenza di tutte le materie prime critiche.

Si tratta per lo più di metalli rari e semilavorati usati in quasi tutte le tecnologie digitali presenti e nei settori strategici relativi alla sostenibilità ambientale. Per esempio, il tungsteno fa vibrare i telefoni. Le lampade a tecnologia Led che illuminano le nostre stanze e uffici utilizzano il gallio e l’indio, metalli rari ma utilissimi. Il berillio viene utilizzato nei sistemi antincendio a pioggia installati nelle abitazioni, in ristoranti, ospedali e uffici. Il niobio, un metallo di transizione molto raro, è fondamentale nei dispositivi medico-diagnostici.

Un’auto elettrica utilizza decine di metalli più o meno rari. Le sue batterie richiedono, oltre al litio, anche grafite e manganese, cobalto, nickel, rame, ferro ed alluminio. La diffusione delle EV ha scatenato la caccia a questi metalli con la formazione di preoccupanti speculazioni e di rischi socio-ambientali e materie prime definite critiche. Partendo dalle batterie agli ioni di litio, il mercato ne necessita a milioni (litio che incide poco sul prezzo finale, circa un 4%). Ma è iniziato da mesi un percorso ad ostacoli perché le materie prime sono concentrate in poche regioni.

Quasi il 50% delle fonti mondiali di cobalto si trova nella Repubblica Democratica del Congo, mentre il 58% del litio proviene dal Cile. O ancora l’80% delle riserve di grafite si trovano in Cina, Brasile e Turchia, il 75% delle riserve di manganese sono reperibili in Australia, Brasile, Sudafrica e Ucraina. Risultato? Nascono preoccupazioni sulla sicurezza dell’approvvigionamento.

La Cina domina il mercato controllando il 54% della capacità mondiale di estrazione delle terre rare e ben l’84% della loro raffinazione ma è leader anche nella produzione della grafite. La Cina è l’unico Paese al mondo che controlla l’intera componentistica presente nei motori dell’auto, negli aerei, negli hard disk, nei missili teleguidati e nelle macchine per la risonanza magnetica.

Non sorprendiamoci se l'approvvigionamento dei chip ha penalizzato quasi tutte le case automobilistiche costrette a blocchi forzati degli stabilimenti. Se viene a mancare un chip da 1 dollaro si blocca la vendita di un modello che ne vale all’incirca 40.000. La carenza di semiconduttori ha penalizzato Toyota, Ford, il Gruppo Volkswagen, Honda e ancora Nissan, Mazda, Subaru ed altri marchi come GM, Daimler, Audi.

Strano non ci sono produttori cinesi! Anzi no.

Anche Carlo Tavares, ceo di Stellantis, durante la conference call sui conti 2021 del Gruppo ha detto “di vedere due ostacoli: le materie prime ed i chip”. Seguito a ruota da Luca De Meo, ceo di Renault che ha parlato di “una lotta quotidiana per accaparrarsi i chip”. Oggi senza semiconduttori non si può nemmeno alzare il finestrino dell’auto. Non solo. Gran parte degli oggetti di uso quotidiano funziona grazie a questi materiali: dalle auto agli smartphone, dai computer ai televisori, agli elettrodomestici.

Da questo monopolio pericolosissimo per la strategia europea di decarbonizzazione entro il 2050 dipende il futuro industriale dell’occidente. Oltre al fatto che molta parte d’Europa, Italia compresa, nel campo del gas naturale dipende da Putin.

Però quando il Ministro per la Transizione Ecologica ha posto il problema del nucleare pulito è stato subito “azzannato alla giugulare” dagli ambientalisti nostrani (che valgono probabilmente il 2%).

Forse è tempo che l’Italia e l’Europa abbiano una strategia vera sulle fonti energetiche perché il tempo è inesorabile e credo che tra esse non possiamo escludere anche il nucleare. L’assurdo sarebbe, come ci dice l’imprenditore-scienziato Stefano Buono, che Torino diventasse un luogo in cui si progettano mini reattori nucleari di quarta generazione per poi esportarli e il nostro Paese non si ponesse il problema dell’utilizzo. Anche perché a ogni fonte rinnovabile da installare in Italia avremmo il Comitato di Cittadini “non nel mio giardino”. Contraddizioni in seno al popolo direbbe il grande timoniere.

In tutto questo il sindacato ha un ruolo importante perché sono in gioco migliaia di posti di lavoro. Occorrerà tanta formazione per trasformare il lavoro attuale, le professionalità esistenti in professioni che ancora non si vedono. Serve anche una proposta coraggiosa come ha fatto il segretario generale dei metalmeccanici Cisl, Roberto Benaglia, a Torino nel convegno sulla transizione ecologica nell’automotive, quando dice che occorre ridurre l’orario produttivo e trasformarne una parte (un quinto, come la riduzione di produzione passando dall’auto endotermica a elettrica) in formazione continua. Lo scambio può avvenire attraverso la gestione di una parte del salario erogato dai contratti nazionali trasformato in formazione e gestendolo nella contrattazione. Finalmente una proposta che segna un cambio di passo sindacale e che esce dallo stereotipo assistenziale del richiedere più ammortizzatori sociali che poi finiscono in modo logorante in licenziamenti. Non è totalmente innovativa; quante volte ci abbiamo provato a ridurre l’orario, come cislini, scontrandoci con ottusità sindacali, conservatorismo di sinistra insieme a mancanza di visione imprenditoriale.

Ora il tempo stringe, Torino è una piazza che sta affrontando gravi crisi industriali ma è anche sempre stata anticipatrice dei cambiamenti sociali. Provaci ancora… Torino.

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