SACRO & PROFANO

Totovescovo, quattro in corsa.
Ma il favorito resta Olivero

Nel dossier del nunzio apostolico incaricato delle consultazioni i nomi dell'emiliano Castellucci, del titolare della diocesi di Aosta Lovignava e quello di Mondovì Miragoli. Per il pinerolese ci sono sponsor influenti: il cardinale Zuppi e don Ciotti

Con l’avvio delle consultazioni del nunzio apostolico monsignor Emil Paul Tscherring è partito anche il totovescovo e i nomi di colui che potrebbe diventare il pastore della Chiesa torinese si sprecano. Fonti accreditate di una certa attendibilità dicono che, ad alcuni livelli della Cei, sarebbe visto con favore l’attuale vicepresidente monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena e Carpi, teologo progressista in piena ascesa che gode delle simpatie del Papa e che viene pure indicato come il successore del cardinale Gualtiero Bassetti alla guida dei vescovi italiani. Il prelato emiliano sarebbe il vescovo ideale per il clero “boariniano” e per il suo vertice intellettuale insediato a San Lorenzo.

Il nome di monsignor Egidio Miragoli, vescovo di Mondovì e con importanti incarichi romani, avrebbe il consenso dei vescovi piemontesi di origine lombarda, compatti e influenti, anche se il loro candidato rimane monsignor Franco Lovignana, vescovo di Aosta, su cui mesi fa puntavano perché sostituisse monsignor Cesare Nosiglia come presidente dei presuli piemontesi. A tale manovra, si opposero i torinesi che infine prevalsero nell’urna. Lovignana, pupillo del venerando, ma sempre attivissimo, monsignor Giuseppe Anfossi che lo impose come suo successore nella diocesi aostana, ha l’apparenza – anche nell’aspetto – del moderato, ma la sua linea è ferreamente progressista.  

Dei nomi usciti, l’unico sicurissimamente escluso è il vescovo di Ventimiglia-Sanremo, monsignor Antonio Suetta. La sua ortodossia dottrinale, la sua pastorale tradizionale – i cui frutti si vedono nelle vocazioni con un numero di seminaristi più elevato che a Torino – le chiare e nette prese di posizione su temi scottanti come il disegno di legge Zan o l’eutanasia, costituiscono per i progressisti di ogni specie, ma in particolare per la lobby gay e per i non troppo sconosciuti preti concubinari “di genere”, una vera minaccia. L’aver messo in campo la sua figura ha l’evidente scopo di “bruciarlo” e questo la dice lunga su quanto un vescovo di tal fatta spaventi l’establishment clericale che vuole evitare a tutti i costi si ripeta quello che successe in passato con il cardinale Giovanni Saldarini e cioè quella chiamata a «guardare in alto» che fu il programma del suo episcopato e contro il quale fu organizzato il dissenso.

In realtà, a tutt’oggi, l’unico nome con vaste chance rimane sempre il vescovo di Pinerolo monsignor Derio Olivero.Oltre a pezzi da novanta come il cardinale Matteo Zuppi e don Luigi Ciotti, clero e laici stanno scendendo in campo per lui, con petizioni e lettere al nunzio o addirittura a Santa Marta, in cui si magnificano le sue preclare doti. I parroci torinesi poi lo invitano alle feste patronali e lui stesso in qualità di incaricato episcopale del Piemonte per le Belle Arti gira la regione facendosi conoscere con il suo tratto disinvolto e rinnovatore. Sarà per questo, anticipando i tempi, che la sua lettera pastorale ai fedeli di Pinerolo reca il titolo augurale e invitante: “Brindiamo?”.

Non è detto che dalle consultazioni si astengano i vescovi emeriti i quali – tale dato dovrebbe far riflettere – ormai sono ben 17, esattamente il numero di quelli attivi. In pratica il Piemonte ha ormai più vescovi che seminaristi e questo è un segno dei tempi perfetto della decadenza della Chiesa. La maggioranza di loro – ma non tutti - è schierata per Derio e, fra questi, il più ascoltato è l’amabile co-parroco della Crocetta ed ex ausiliare di Torino monsignor Guido Fiandino che, con l’arrivo del vescovo di Pinerolo, si aspetta, come tutti i suoi coetanei, il ritorno della “primavera” pellegriniana. Da non sottovalutare poi un esponente di lungo corso di quel fronte trasversale progressista, beneficiario delle nomine episcopali, che risponde al nome di monsignor Arrigo Miglio. A 79 anni, l’ex vescovo di Iglesias e di Ivrea ed ex arcivescovo di Cagliari, si muove nell’ombra ed è assai attivo a Roma dove, all’insaputa di molti – persino in terra canavesana – il Papa lo ha nominato  commissario della basilica di San Paolo fuori le mura e ove sta provvedendo con zelo a “bonificare” la comunità dei monaci benedettini «in capite et in membris». L’abate, a quanto risulta, è già stato spedito a Subiaco. A fronte di tale servizio non è affatto escluso che l’ambizioso Miglio riesca ad ottenere quell’agognata porpora, finora mancata al suo predecessore monsignor Luigi Bettazzi il quale, tra l’altro, va dicendo ai suoi amici che il futuro vescovo di Torino sarà Derio Olivero. Se lo dice lui, collegato alla “mafia di San Gallo” e che previde con mesi di anticipo le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione di Bergoglio, ci sarà da credergli

Corre voce infine che laici influenti, in Piemonte e a Roma, sostengano la candidatura di un superiore religioso – categoria questa assai ben vista da papa Francesco per ricoprire l’ufficio episcopale – ma   che non sarebbe il generale dei Carmelitani, padre Saverio Cannistrà, dato invece a Catania. Chi sarà? Come diceva San Paolo (1 Tim 3, 1): Si quis Episcopatum desiderat, bonum opus desiderate poiché all’episcopato non vi è mai carenza di vocazioni, circola pure il nome del vescovo ausiliare di Genova, il giovanile e giovanilista sessantenne, monsignor Nicolò Anselmi.

Come chi lo frequenta sa molto bene, il Vaticano è il villaggio dei rumors. In questi giorni si è diffusa la voce che il posto di Maestro delle cerimonie liturgiche pontificie, vacante dopo la nomina di   monsignor Guido Marini a vescovo di Tortona, verrebbe assunto dal torinese parroco di Santa Rita monsignor Mauro Rivella. Probabilmente si tratta di una bufala poiché il suo nome è stato confuso con quello dell’attuale capo dell’Elemosineria Apostolica e attuale cerimoniere monsignor Diego Ravelli.

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