SACRO & PROFANO

Piemonte senza vocazione, tracollo di preti e seminaristi

Nel desolante quadro della Chiesa italiana è la regione che registra il calo più marcato: -32% di ingressi alla formazione sacerdotale. Inserimento sempre più numeroso di clero extracomunitario e la sperimentazione dei "viri probati"

Secondo i dati pubblicati sul sito della Cei, nel 2019 il numero dei preti italiani è sceso sotto quota 40mila, mentre soltanto dieci anni fa erano quasi diecimila in più e dal 1990 a oggi il numero totale dei sacerdoti è calato di circa 15mila unità con una flessione del 27%. Le ordinazioni hanno subito il drastico calo di un terzo nel primo quindicennio del nuovo millennio. Così pure per i seminaristi, diminuiti del 31%, per non parlare dei religiosi. Nel 2018 i preti diocesani erano 33.941, ma solo 30.985 ancora in grado di prestare un ministero attivo al servizio delle diocesi. Secondo Franco Garelli, professore emerito di sociologia dei processi culturali all’Università di Torino, il dato più preoccupante è l’invecchiamento del clero italiano: «I preti con oltre 80 anni erano il 4,3% nel 1990, mentre sono il 16,5% nel 2019, i preti con meno di 40 anni erano il 14% del clero italiano nel 1990, mentre rappresentano non più del 10% nel 2019». L’età media dei preti diocesani è passata dai 57 anni del 1990, ai quasi 60 anni nel 2010 e ha superato i 61 anni nel 2019 in un processo di invecchiamento che, con la crisi delle vocazioni, ha avuto luogo, «in modo un po’ beffardo», a margine e dopo il Concilio Vaticano II quando, come a Torino, il trend delle vocazioni era ancora in crescita e molte diocesi erigevano nuovi seminari o ampliavano quelli esistenti.

Rispetto alle vocazioni, le cifre riportate da Garelli mettono in luce una interessante geografia dei preti delle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali. Fatta eccezione per il Lazio (+11%), nel trentennio 1990-2019 a nord di Roma si assiste a un vero tracollo. In testa in termini negativi – ed è il dato che più preoccupa Papa Francesco – il Piemonte con -32 %. Seguono la Liguria (-32%), l’Emilia-Romagna e il Triveneto (-28%), Marche e Toscana (-24%). Al Sud, si ha invece una crescita delle vocazioni con il record della Calabria (+ 12%) con significativi incrementi in Campania, Puglia e Basilicata (+7%). Naturalmente, dove cresce numericamente, il clero presenta un’età più bassa: un decennio separa i preti “giovani” della Basilicata (55,9 anni) da quelli assai più anziani del Triveneto (65,4 anni). Anche le offerte ai sacerdoti sono in profondo rosso. In base ai dati dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero, nel giro di poco più di un quindicennio le erogazioni liberali da parte dei fedeli sono passate dai 19,2 milioni di euro del 2002 ai 9,6 milioni nel 2018.

Il dato piemontese è comunque quanto mai significativo ma, per la verità, non sembra allarmare troppo i vescovi. Molti di essi vivono come normale il fatto che non vi siano più da anni ordinazioni sacerdotali e delle vocazioni, che un tempo dovevano essere la prima cura del vescovo, sembrano non interessarsi più. Alcuni suppliscono con l’inserimento di sempre più numeroso clero extracomunitario oppure – e non è il caso di pochi – auspicano soluzioni come il clero uxorato, i viri probati o a, imitazione delle confessioni riformate, una Chiesa in cui finalmente i fedeli – tutti sacerdoti – non differiscano più essenzialmente tra di loro. Ancora in tempi recenti, l’invito ai presuli a indire preghiere e a mobilitarsi per le vocazioni, come avveniva in passato, è stato accolto con scetticismo e sufficienza. D’altro canto, se il prete è solo un leader che presiede la comunità o ne è il portavoce e non più colui che – in forza del Sacramento – è divenuto sacerdote e, unico, ha ricevuto il potere di consacrare il pane e il vino, non si comprende perché non bastino per la sua formazione corsi biblico-scritturistici o di tipo gestionale. Venuto meno il fondamento ontologico del ministero ordinato, resta il nudo funzionalismo.

Quest’anno nel seminario di via Lanfranchi vi sono stati cinque ingressi in propedeutica e altrettanti in teologia. Ma la notizia è che nel 2021, nella sola diocesi di Torino, ben sette ragazzi, provenienti da famiglie cattoliche, sono entrati nel noviziato della Fraternità San Pio X (Lefevriani) di Albano Laziale. Anche se non più con i numeri del passato, le vocazioni dunque non sarebbero scomparse del tutto ma riflettono sempre di più le divisioni tra progressisti e conservatori presenti nella Chiesa.

Voci abbastanza attendibili dicono che don Ferruccio Ceragioli, classe 1964, ordinato nel 1998, attuale rettore del seminario arcivescovile, boariniano perennemente melanconico, abbia manifestato l’intenzione, con l’arrivo del nuovo vescovo, di dare le dimissioni. Creatura e pupillo del coparroco-vescovo della Crocetta,  monsignor Guido Fiandino, si può dire che egli abbia svolto con successo la missione affidatagli e cioè quella di “normalizzare” il seminario da ogni influenza men che meno progressista e di aver corretto quelle che lo stesso Fiandino definì un «errore del sistema», riferendosi alle famigerate ordinazioni del 2013 prodotto, secondo l’establishment clericale, della mancata vigilanza formativa dell’allora rettore, il compianto don Ennio Bossù e del suo vice don Francesco Saverio Venuto, ma anche una indiretta critica al cardinale Severino Poletto. Ancora adesso quei preti – ormai diventati parroci dopo la opportuna «rieducazione» presso la «vacche sacre» del presbiterio – sono l’argomento principale di discussione durante le riunioni conviviali del clero più anziano. Quel gruppetto di giovani preti fermi nella dottrina, pastoralmente attivi, prolifici di vocazioni, per nulla suggestionati dal passato e ancor di più in talare, è stato ed è, per i nostalgici del ’68, un vero trauma. Ricordavano loro i tempi di quando la Chiesa era un popolo e il seminario di Rivoli – chiuso dal cardinale Michele Pellegrino nel 1972 – gremito di chierici. Vedersi riapparire di fronte quel mondo, contro il quale avevano strenuamente combattuto nei convulsi tempi del post-concilio e infine – credevano – vinto, li sconvolse. Comunque, non c’è da preoccuparsi. Il posto di rettore dovrebbe essere preso da don Antonio Sacco, classe 1968, ordinato nel 2004, attuale vicerettore, eiusdem furfuris di Ceragioli.

Intanto, alcuni retroscena sulla questione della basilica di Superga, dove dovevano installarsi i Legionari di Cristo e che invece è stata affidata dalla diocesi al Sermig, spiegano alcune cose. Pare che tutto fosse deciso, anche da parte dell’arcivescovo Cesare Nosiglia a favore dei Legionari, ma poi “qualcuno” ha fatto pressioni perché si chiedesse al riluttante Ernesto Olivero di farsi carico della non lieve gestione del sacro complesso. La motivazione è che il modello sacerdotale dei Legionari sarebbe stato troppo attrattivo per i giovani che intendono avviarsi al sacerdozio e potesse diventare, nel tempo, un’alternativa alla sorvegliata depressione di via Lanfranchi dove lo psicologismo detta legge.

Tra poco arriverà all’Istituto Superiore di Scienze Teologiche – Studio Teologico Interdiocesano di Fossano – questo è il suo enfatico nome – il visitatore apostolico mandato da Roma, monsignor Luigi Renna, vescovo di Cerignola, e dove la situazione appare paradossale. Infatti, il grande edificio ove ha sede l’istituto, ospita in tutto cinque seminaristi provenienti dalle quattro diocesi del Cuneese. Ogni tentativo dei vescovi di razionalizzare l’istituto o di accorparlo a Torino ha dovuto scontrarsi con la lobby dei docenti, timorosi di doversi dedicarsi a tempo pieno alla pastorale. Anche la facoltà teologica di via XX Settembre, il cui anno accademico sarà inaugurato oggi, 18 ottobre, vive, e non da oggi, nel grigiore della decadenza. Fonti romane dicono che il nuovo vescovo avrà la precisa missione di riorganizzare radicalmente tutto il sistema formativo, non solo torinese.

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