INDUSTRIA

La crisi dei chip frena l'auto: 14 milioni di veicoli in meno

Netta contrazione del settore automotive. Ma tra le imprese del settore prevale l'ottimismo: oltre i due terzi prevedono una crescita del fatturato, più del 55% aumenti di ordinativi interni, esportazioni e occupazione

La carenza dei semiconduttori provocherà – secondo le stime degli analisti – un calo della produzione di auto in tre anni di oltre 14 milioni di veicoli: 4,5 milioni quest’anno, 8,5 milioni nel 2022 con una coda di 1 milione nel 2023. Una spada di Damocle sui fornitori di auto, impegnati a fronteggiare anche la transizione verso l’elettrico. Una situazione che finora ha avuto ripercussioni attenuate a Torino, grazie alla produzione a pieno regime della 500 elettrica che ha mitigato la riduzione avvenuta sugli altri modelli, ma che a lungo andare potrebbe provocare criticità anche nel centro di Mirafiori, che sta per assorbire tutti i lavoratori dell’Agap di Grugliasco.

È emerso durante la presentazione dell’Osservatorio sulla componentistica automotive italiana, indagine realizzata dalla Camera di commercio di Torino, dall’Anfia e dal Center for Automotive and Mobility Innovation del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Le imprese della componentistica – 2.203 con sede legale in Italia, un fatturato 2020 in calo a 44,8 miliardi di euro a causa dell’epidemia, e 161.400 dipendenti – temono anche l’aumento dei prezzi delle materie prime (65,8%) e il rallentamento del quadro economico in Europa (62,7%).

Tuttavia, la filiera si attende un anno di ripresa: oltre i due terzi delle imprese prevedono una crescita del fatturato, più del 55% aumenti di ordinativi interni, esportazioni e occupazione. Intanto quasi un’impresa su due si posiziona verso powertrain elettrici e ibridi. Tra le sfide c’è quella della nascita di Stellantis. Le imprese non danno giudizi, ma tra coloro che si esprimono il 72% ne ravvisa un’opportunità a fronte del 28% che percepisce un rischio per il proprio business. Più forti i timori in Piemonte – regione che vale il 33,5% delle aziende nazionali e produce il 35,8% del fatturato italiano – dove la percentuale sale al 37%. La presenza del gruppo su più mercati viene valutata in un'ottica di opportunità, mentre i timori si concentrano sui cambiamenti dei volumi di fornitura e sui mutamenti che possono derivare dallo spostamento del baricentro decisionale.

Nel 2020 i fornitori piemontesi hanno fatturato 15,8 miliardi di euro (il 35,8% del totale nazionale), con un calo del 13,8% rispetto all’anno precedente, confermando il trend riscontrato anche a livello italiano. La flessione ha coinvolto più o meno intensamente tutti i livelli della catena di fornitura, in primo luogo i vertici, dove i fornitori di sistemi e moduli integrati hanno registrato un calo del 15,8%; seguono i subfornitori delle lavorazioni e la subfornitura “tout court”, dove il calo è stato rispettivamente del -14,4% e del -13,9%. Per la prima volta negli ultimi cinque anni, si assiste anche a una flessione degli addetti che, con quasi 56.700 unità (il 35,2% del totale nazionale), registrano una diminuzione del -2,7%.

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