UN SACCO BELLO

Damilano formato esportazione

Dopo il successo di Torino Bellissima l'ex candidato sindaco registra due marchi clone: "Piemonte Bellissimo" e "Italia Bellissima". Non solo non pare intenzionato a lasciare la Sala Rossa dopo la sconfitta, ma addirittura studia da leader nazionale "moderato" nel centrodestra

Nel salto di specie – dal civismo alla politica – che Paolo Damilano pare in animo di voler fare, lo sconfitto nel duello per la guida della città nei prossimi cinque anni conserva un elemento fondante del dna dell’imprenditore: l’importanza del brand e del suo possesso.

“Torino Bellissima”, marchio di fabbrica risultato fortunato per la lista civica attestatasi come primo “partito”, pur non essendo tale o forse proprio per questo, del centrodestra nei propositi di Damilano non si limiterà a connotare il più rappresentato gruppo di opposizione in Sala Rossa, ma è pronto a sfornare suoi cloni o, per meglio dire, declinazioni di più larghe prospettive.

L’imprenditore acqua&vino, il cui rapporto con le forze politiche del centrodestra ha segnato alti e bassi prima e dopo l’esito elettorale, non solo ha smentito chi lo dava come meteora in rapido allontanamento dallo scranno in Sala Rossa per un altrettanto rapido rientro al business, ma con un gesto per molti versi sorprendente e certo gravido di aspettative e sviluppi, ha affidato l'incarico a un noto legale per registrare due marchi: “Piemonte Bellissimo” e, attenzione, “Italia Bellissima”.

Nel 2024 si voterà per il governo regionale, un anno prima (se si concluderà la legislatura corrente) per il Parlamento. Damilano parte con grande anticipo, ma con la rincorsa del successo della sua creatura civica, diretto verso traguardi ambiziosi. 

Difficile pensare altrimenti a fronte di quelle declinazioni del marchio di fabbrica, registrate al pari di quanto avvenuto per la denominazione della formazione civica che non poche irritazioni ha provocato in casa della Lega e nella famiglia dei Fratelli d’Italia, così come tra gli azzurri tutti più o meno convinti di aver subito un travaso di voti dai loro serbatoi verso il contenitore costruito e gestito dal candidato sindaco.

Sempre lui, a conferma dell’intenzione di una ripartenza dopo la sconfitta e a smentita di un suo abbandono della scena politica (per ora) cittadina, già a urne ancora calde mentre si ritagliava di fronte a telecamere e taccuini l’abito dello sconfitto prodigo di fair play e pure qualche frecciata ai partiti, non mancava di agevolare la diffusione di voci circa un suo possibile aprirsi di prospettive di livello nazionale.

Nel suo entourage, qualcuno addirittura prospetta un suo ruolo nelle seconde fila governative. Da candidato sconfitto a sottosegretario nell’esecutivo Draghi per l’imprenditore dietro la cui candidatura si è andata via via stagliando la sagoma politicamente pesante di Giancarlo Giorgetti?

Questo è il periodo meno adatto per chiedere conto ai vertici leghisti di questi rumors, tant’è che la risposta più prevedibile arriva con la fortissima perplessità circa nuovo ingressi nel Governo e l’aggiunta, con punta di veleno, circa l’auge in cui non si troverebbe propriamente l’eminenza grigia in questi giorni in missione negli States e, quindi, lontano dai giochi che si vanno aprendo su più fronti nel centrodestra. La stilettata riservata al bocconiano di Varese (terra di recentissima sconfitta patita alle comunali) da parte di Matteo Salvini con rimandi all’atteggiamento da cartellino rosso che Umberto Bossi avrebbe avuto, al suo posto, nei confronti del titolare del Mise, la dice lunga. Ma tant’è, il sentirsi un po’ un Luigi Brugnaro o un Giovanni Toti, pur non avendo conquistato il Comune come fatto e rifatto dall’imprenditore veneziano e non avendo ancora potuto cimentarsi a livello regionale come il governatore ligure, fa di Damilano l’esatto opposto di quel che molti immaginavano in caso di sua sconfitta. Lui non lascia, ma raddoppia, anzi triplica il superlativo modellandolo sull’originale torinese, per il Piemonte e addirittura per il Paese.

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