GRANA PADANA

Lega, "Giorgetti ha ragione"
ma pochi si (af)fidano

In Piemonte anche chi condivide le critiche del ministro alla linea sovranista di Salvini diffida delle sue reali intenzioni. "Non è un leader, piuttosto ama agire delle retrovie". E poi, ricorda qualcuno, è "uno noto per non tutelare i suoi". Il caso Simonetti docet

L’ala giorgettiana della Lega appare sempre più come una categoria dello spirito piuttosto che una corrente nell’accezione tradizionale del termine, sia pure adattata a un partito-monolite quale continua ad essere, dopo aver attraversato trent’anni di storia, quello di Matteo Salvini. Da questo non essere una componente (non per scelta, ma come si vedrà soprattutto per il modus politico di colui che dovrebbe esserne il capo) bisogna partire per provare a leggere in prospettiva le possibili evoluzioni di un dibattito interno, a tratti un duello a distanza (di sicurezza) tra il Capitano e l’Eminenza Grigia, che in una sorta di ritorno alle origini si sviluppa certamente più al Nord che non nei territori di recente e incerta conquista oltre la Linea Gotica.

Così anche l’ultima punzecchiata di Giancarlo Giorgetti al leader se da un lato alimenta quella parte non certo residuale della Lega che non nasconde una certa qual insofferenza per la linea salviniana, dall’altro lascia la stessa ancora nell’incertezza circa un’evoluzione concreta del posizionamento del bocconiano di Cazzago Brabbia. Domani in via Bellerio è convocato il Consiglio federale del partito: sarà quella la sede del redde rationem tra i due? Nessuno pare pronto a scommetterci un centesimo.

"Il problema non è Giorgetti – dice citando sé medesimo col cognome – che una sua credibilità internazionale se l'era creata da tempo. Il problema è se Salvini vuole sposare una nuova linea o starne fuori. Questa scelta non è ancora avvenuta perché, secondo me, non ha ancora interpretato la parte fino in fondo. Matteo – spiega il non altrettanto loquace sparring partner – è abituato a essere un campione d'incassi nei film western. Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar. È difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso”. 

Se il diavolo veste Prada, Giorgetti non s’è mai visto con una felpa. Draghiano anche nell’assenza dai social, il titolare del Mise anima come pochi altri le chat di militanti e dirigenti. Cosa fa, cosa dice, come si muove Giorgetti è il sismografo dei movimenti di un partito dove tutti assicurano che i terremoti sono storia passata e non se ne prevedono, sfidandone l’imprevedibilità, in futuro. “i western stanno passando di moda. Secondo me, sono finiti con Balla coi lupi. Adesso – prosegue  Giorgetti nella metafora cinematografica riferendosi al rapporto di Salvini con Giorgia Meloni e la rincorsa ai Fratelli d’Italia – in America sono molto rivalutati gli indiani nativi”. E i nativi della Lega, o meglio, le sue origini territoriali sono un nervo sensibile per chi accetta l’agenda nazionalista e sovranista, ma certo non la sventola come fosse il libretto rosso. E questo accade al Nord, dalla Lombardia al Veneto (lì con una particolarità che vedremo) passando non certo si sfuggita dal Piemonte.

Tanto più che qui, a Torino, il voto per le comunali e la campagna elettorale che lo aveva preceduto era stata occasione di più di una tensione in cui di riffa o di raffa la linea di demarcazione tra Salvini e Giorgetti era risultata più visibile e, talvolta, strumento per far emergere mal di pancia nei confronti del Capitano. Tra le annotazioni dei giorni che hanno preceduto la sconfitta del centrodestra e del suo candidato Paolo Damilano (di cui è emerso sempre più il padrinaggio giorgettiano) si ricordano le bacchettate del Capitano sull’uso disinvolto delle chat e la non poi troppo nascosta strigliata al segretario provinciale Alessandro Benvenuto, parlamentare nell’orbita del ministro. Orbita in cui si pone come satellite più vicino all’Eminenza Grigia pure l’assessore regionale Fabrizio Ricca. Non certo l’unico, visto che nella materia di sua competenza il titolare della Sanità Luigi Icardi non è certo passibile di sospetti di accondiscendenza verso i No Vax e neppure minimamente critico verso quel Green Pass preso invece a bersaglio dal Capo. Todos giorgettiani o quasi in giunta e qualcuno pure sui banchi del consiglio dove la componente novarese, con Riccardo Lanzo – tra i più lesti a condannare senza se e senza ma, insieme al sindaco Alessandro Canelli, la vergognosa sfilata dei No Green Pass – è quella che più spinge sul vertice regionale del partito per una maggiore autonomia e anche a tal fine non disdegna di poggiare questa istanza proprio sulla differenza tra Giorgetti e Salvini, senza per questo arrivare a mettere in discussione il Capo.

Più che un improbabile e ad ora escluso da tutti, in primis dallo stesso ministro, tenativo di scalzare Salvini cui nessuno crederebbe, c’è nella Lega un orientamento sulle posizioni più governiste e moderate, decisamente meno sovraniste, per provare a riportare il partito lontano da rincorse della Meloni e, come ha detto chiaramente Giorgetti, dai sovranismi europei alla Orban. Una pulsione, quella di un riassestamento su binari più propri, che passa per quella che ormai è la Lega dei governatori e trova forza nei territori. Movimenti, per molti versi analoghi a quelli in atto in Forza Italia, che avrebbero anche il non secondario fine di arrivare senza scossoni alle elezioni del Capo dello Stato. 

Se in Piemonte gli osanna al Capitano si affievoliscono, salvo rari casi, questo non significa affatto aria di spaccatura, piuttosto segnali da cogliere per la guida del partito regionale. Nessuna corrente giorgettiana, si diceva lasciando l’immagine a categoria dello spirito. E anche per questo ci sarebbe una spiegazione: il ministro non è uomo la cui azione politica contempli la costituzione di una sua componente interna. Lo sanno in molti, alcuni lo hanno scoperto a proprie spese. Un caso che molti nel partito citano per rendere l’idea di come sia velleitaria l’ipotesi di una corrente strutturata attorno a Giorgetti, riguarda Roberto Simonetti. Da sempre unico vero giorgettiano piemontese, ha visto sfumare la sua candidatura e per tornare in Parlamento (al contrario di Giorgio Bergesio, imposto da Roberto Calderoli), si è dovuto accontentare del ruolo di contabile al gruppo parlamentare. Ruolo di tutto rispetto, ma non certo ciò che si prevedeva nella fulgida carriera di chi aveva la mano dell’Eminenza Grigia sulla spalla. Neppure uno strapuntino nella giunta di Alberto Cirio gli è stato riservato. Insomma, come sintetizza un dirigente di primo piano, “Giancarlo non è un leader, piuttosto un abile manovratore dietro le quinte, che si muove più a suo agio nei Palazzi che nelle piazze o sezioni di partito”.

Un Giorgetti senza truppe, come nota più d’uno tra chi ricopre ruoli di vertice nazionale, al contrario per esempio di un Luca Zaia che invece le truppe le ha eccome ed è pronto a farle valere non per dare la scalata al partito (almeno per ora), bensì per dettare i nomi dei futuri candidati della sua regione al Parlamento. Un peso, quello della Liga veneta, che affonda le radici nelle origini e nell’aver sempre tenuto una posizione autonoma rispetto alle altre regioni del Nord all’interno del partito. Cosa che non è mai avvenuta in Piemonte, quasi sempre nel bene e nel male legato a traino della Lombardia. 

Nel dirsi o almeno mostrarsi giorgettiani in molti esponenti di rilievo piemontesi c’è proprio questa richiesta di una caratterizzazione più marcata, anche rispetto alla linea salviniana, senza per questo andare allo scontro. Tantomeno immaginare una componente strutturata. In più c’è la vicenda Damilano. Il mancato sindaco si descrive come un Luigi Brugnaro, un Marco Bucci, guardando al sindaco di Venezia e di Genova così come al governatore ligure Giovanni Toti come modelli. Con una differenza di non poco conto: loro hanno vinto e governano, lui ha perso e sta all’opposizione. Se nelle speranze dell’imprenditore che ha deciso di restare in Sala Rossa e proseguire, con le sue liste civiche, l’avventura politica c’è quella di un ruolo nella corrente giorgettiana, Damilano dovrà accontentarsi di una categoria dello spirito.

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