Post olimpico, nodo da sciogliere

Il capitolo del post olimpico è destinato, purtroppo, ancora a restare insoluto. E non si sa per quanto tempo. Una pagina triste e decadente della politica torinese, piemontese e nazionale che, nel corso degli anni, non ha saputo – o voluto – affrontare e risolvere un problema che è sotto gli occhi di tutti. Certo, le Olimpiadi di Torino 2006 sono state una pagina indimenticabile per il nostro territorio subalpino. In particolare, per i paesi e le città dove si erano costruiti gli impianti. Vari tasselli hanno contribuito a costruirne un mosaico fatto di spettacolo, successo mediatico, richiamo turistico, riscoperta di quella località, investimenti ingenti anche nelle infrastrutture di quei territori e soprattutto trasparenza nell’iter autorizzativo e nella realizzazione delle singole opere. Detto questo, però, è inevitabile concentrare l’attenzione sui disastri della concreta gestione post olimpica. Mi riferisco, nello specifico, agli impianti realizzati e non più utilizzati a Cesana Torinese – il bob – e ai trampolini di Pragelato. Impianti che, oltre a non essere più stati utilizzati, sono stati prima vandalizzati e poi lasciati ad un sostanziale abbandono. E quando molti cittadini parlano apertamente di “cattedrali nel deserto” inguardabili e addirittura incommentabili non hanno tutti i torti. Anzi, hanno perfettamente ragione.

Ora, non si tratta di ricercare morbosamente singole responsabilità sul perché questi impianti sono ancora in quelle condizioni dopo oltre 15 anni dallo svolgimento dell’evento olimpico. Una cosa, però, è certa. Questa situazione va affrontata e possibilmente risolta. In un modo o nell’altro. O si smantellano definitivamente gli impianti – perché inutilizzati e perché poco praticati a livello agonistico a livello locale e nazionale – o si riqualificano individuando però da subito una gestione corretta e trasparente e soprattutto con un piano di reale e concreta sostenibilità economica e finanziaria. Il tutto per evitare che si ripetano situazioni già sin troppo note e conosciute.

Certo, la decisione del Comune di Torino nella scorsa amministrazione di non partecipare alle Olimpiadi invernali del 2026 è stata decisamente una doccia fredda per tutto il nostro territorio e in particolare per i territori delle valli olimpiche. Perché è in queste zone che si addensano, come ben sappiamo, le maggiori criticità e che un eventuale evento olimpico avrebbe sicuramente contribuito a risolvere molti problemi. Oltre a quello che le Olimpiadi rappresentano a livello internazionale per i territori sedi di gara. Ma il populismo antipolitico, demagogico e qualunquista dei 5 stelle ha bloccato quella possibilità e tutto è sfumato. E a nulla è valso, purtroppo, il tentativo del neo sindaco di Torino Lo Russo e del presidente della Regione Piemonte Cirio di rimettersi in gioco. Un tentativo, oltretutto, ragionevole e fondato perché avrebbe avuto il merito di risparmiare ingenti risorse pubbliche a vantaggio di impianti che già esistono o che, al massimo, richiedono di essere riqualificati e ammodernati. Ma anche su questo versante le reazioni dei vertici istituzionali lombardi e veneti sono state chiari e nette. Nessun cedimento e nessuna disponibilità a rivedere decisioni già assunte. Con la certifica di non rivedere ciò che è stato deciso anche da parte del presidente del Coni nazionale Malagò.

Ecco perché, adesso, sfumata definitivamente la possibilità per una presenza olimpica nei territori piemontesi nel 2026, è necessaria una iniziativa politica congiunta di tutti gli enti interessati e deputati a gestire questa situazione intricata e sempre più complessa per affrontare di petto la questione. Ne va della credibilità delle valli olimpiche sede di Torino 2006 ma anche, e soprattutto, di chi ha la responsabilità politica ed istituzionale per non fare del post olimpico un elemento di vergogna collettiva.

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