EMERGENZA COVID

"Usare di più i monoclonali"

Il Piemonte ancora indietro nell'impiego contro il Covid degli anticorpi per evitare casi gravi. Frigoriferi pieni e scarse richieste da parte dei medici di famiglia. L'infettivologo Di Perri: "Molto efficaci se usati rapidamente". Oggi un vertice in assessorato

Già in estate, quando i casi di Covid così come i ricoveri erano minori degli attuali, il professor Giovanni Di Perri aveva alzato con forza il velo su una situazione paradossale: “Abbiamo i frigoriferi pieni di anticorpi monoclonali”. Il primario di malattie infettive dell’Amedeo di Savoia aveva denunciato “un sistema che nella nostra regione sta funzionando male”. I dati che allora gli davano ragione, con il Veneto che a cinque mesi dall’avvio della terapia per ridurre notevolmente gli effetti della malattia somministrava più del doppio di questi farmaci rispetto al Piemonte, non sono purtroppo cambiati di molto. 

A fronte di un’efficacia notevole dimostrata nell’evitare evoluzioni gravi della patologia prodotta dal virus, i frigoriferi dei vari ospedali dove è possibile effettuare la terapia (un’unica flebo che dura meno di un’ora) continuano a rimanere pieni di farmaci che hanno un unico limite: essere somministrati nel più breve tempo possibile, pochi giorni, dall’insorgenza dei sintomi.

A fronte di un sistema che, mesi dopo l’allarme lanciato da Di Perri, non funziona ancora come dovrebbe, con tardive o addirittura mancate richieste da parte dei medici di famiglia e lentezze nelle procedure, l’assessore alla sanità ha convocato per oggi in corso Regina una riunione con i dirigenti del Dirmei. “Sono ancora troppo inutilizzati e dobbiamo mettere in atto azioni per favorire il ricorso tempestivo e diffuso, per tutte le situazioni cliniche in cui l’uso è previsto e fortemente consigliato per evitare che, specie in alcune tipologie di pazienti, il Covid possa evolvere in casi gravi”, spiega Luigi Icardi.

Cogliendo i ripetuti allarmi lanciati da Di Perri, supportato dai dati ancora troppo bassi rispetto ai casi destinati a un costante aumento, oggi in assessorato si studieranno iniziative per una decisa inversione di rotta. Principali destinatari di una campagna di implementazione nell’uso dei monoclonali saranno naturalmente i medici di famiglia, parte dei quali risulta ancora restìa a segnalare e inviare i pazienti nei centri abilitati che sono collocati nei principali ospedali e comunque almeno uno in ogni provincia.

“Certamente il medico di medicina generale è il primo contatto per chi è positivo e presenta sintomi iniziali. E i farmaci monoclonali è provato che se somministrati nei primissimi giorni di infezione su persone candidate a sviluppare una malattia seria, finire in ospedale, funzionano molto bene. Se li facciamo subito – ha spiegato più volte l’infettivologo dell’Amedeo di Savoia – c’è un’efficacia anche superiore al 50 per cento nel ridurre la probabilità che il malato finisca in ospedale, mentre se si perde tempo l’efficacia cala, ogni minuto che passa”. 

Rapidità di intervento e capillarità dell’informazione, sono i principali capisaldi di quella che si annuncia come una campagna indirizzata ai medici di famiglia, ma anche agli operatori dei Pronto Soccorso che la Regione intende promuovere al più presto per fronteggiare un non improbabile aumento dei casi e ridurre il più possibile i ricoveri. Sempre su questa linea, nella riunione di oggi, si affronterà anche il tema delle cure domiciliari, analizzando i dati dei ricoveri, quelli dei casi presi in carico dalle Usca (le unità speciali di continuità assistenziale) e decidendo eventuali. “Per evitare di occupare in maniera massiccia gli ospedali ed evitare quanto possibile di veder crescere i casi gravi, i sistemi ci sono”, osserva Icardi. “Però, bisogna applicarli nel miglior modo possibile”.

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