SACRO & PROFANO

"Camminare insieme" nella Chiesa,
tra nostalgia e mito pellegriniano

Si avvia la macchina del Sinodo sulla sinodalità. E a Torino c'è chi spera di rinverdire i fasti della stagione progressista. Ma è trascorso mezzo secolo e tutto è cambiato. La figura del laicato modello Verrani, la "sacerdotessa". Ultime voci sul totovescovo

Si sta mettendo in moto – con quanta spontaneità e partecipazione sarà tutto da vedere e verificare – la “macchina” del Sinodo sulla sinodalità. Già il tema appare ai semplici fedeli assai misterioso, ma anche agli addetti ai lavori non tutto è chiaro. Si pensi che ai vescovi riuniti nei giorni scorsi all’ hotel Ergife di Roma per l’assemblea generale della Cei, ha fatto visita il cardinale Mario Grech, coordinatore della gigantesca macchina organizzativa del sinodo, per spiegare ai prudenti presuli italiani quali siano le «vere intenzioni» di Papa Francesco nell’aver voluto indire le grandi assise. E questo proprio nel momento in cui si vedono sempre più – peraltro senza che Roma prenda posizione – i risultati nel sinodo in svolgimento in Germania dove le comunità si sono spaccate con forti tensioni tra chi vorrebbe aprire al sacerdozio femminile, chi abolire il celibato, chi introdurre la benedizione per le coppie gay e la intercomunione con i luterani.

Il rischio, paventato da non pochi vescovi, è che si introducano nel sempre più frastagliato e assottigliato corpo ecclesiale, elementi destabilizzanti. Questa volta infatti a essere coinvolti non saranno solo i vescovi ma anche tutti i battezzati, uomini e donne. Il cardinale, pur ammettendo che si tratta di un rischio reale («Non siamo in grado di misurare gli esiti e le conseguenze») ha cercato di tranquillizzare gli astanti: il Papa con il sinodo vuole che si avviino riforme in base al comune sentire dei fedeli in un cammino congiunto ai vescovi. Ha precisato inoltre che dal documento preparatorio è stato cancellato il termine «questionario», al fine di evitare ogni equivoco circa la consultazione, «che non può e non potrà mai essere un’indagine demoscopica». La domanda sarà invece una sola: «Una Chiesa sinodale “cammina insieme”; come questo “camminare insieme” si realizza nella vostra Chiesa particolare?».

A Torino, dire «camminare insieme» significa immediatamente evocare la famosa lettera pastorale del cardinale Michele Pellegrino pubblicata l’8 dicembre 1971, la cui elaborazione, frutto all’epoca di vasta consultazione, è stata presa come esempio dallo storico direttore del Foglio, Enrico Peyretti, come esempio per il cammino sinodale diocesano e come «modello da attualizzare». Siamo cioè ancora e sempre all’heri dicebamus come se dal 1971 non fosse trascorso mezzo secolo, la società italiana e il mondo non fossero radicalmente cambiati – anche antropologicamente – e la sinistra cattolica scomparsa. Ma soprattutto, con la pervicace convinzione che i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI abbiano rappresentato per la Chiesa una semplice parentesi – da archiviare senza indugio – coltivando l’illusione che i felici tempi del cardinale Pellegrino possano ritornare, magari con un suo successore dal linguaggio e dalla forma adatta ai tempi. Illusioni appunto.

In un’intervista il fondatore del Sermig, Ernesto Olivero, ha affermato che per lui il cardinale Pellegrino rimane un «mito». Sulla Camminare insieme si sta preparando, per il 2022, un grande convegno di studio che, si spera, non sia soltanto l’ennesima parata di reduci nostalgici del cattocomunismo o di vestali dell’apologetica, ma l’occasione per una seria indagine storica. Scomparsi ormai i “pellegriniani” più arrabbiati, sarà arrivato anche per il mitico vescovo che nel 1973 si recò alla tenda rossa dei metalmeccanici in sciopero, il tempo della “demitizzazione”?

Sembra che per capire quale figura di laico potrebbe meritoriamente essere delegato al sinodo diocesano, si debba compulsare il libretto pubblicato dalla diocesi che raccoglie la sintesi dei lavori della recente Assemblea diocesana. Vi ha tenuto una dotta Lectio la teologa Laura Verrani, docente all’Istituto di musica e liturgia, fautrice del diaconato femminile e conosciuta come “la sacerdotessa”. La stessa è colei che solo alcuni mesi fa guidava la “guerra ecclesiale” contro i tre sacerdoti torinesi accusati di aver indotto delle vocazioni religiose “forzate” e accusando l’arcivescovo Cesare Nosiglia di tacere e di coprire tale situazione e per cui era stata interpellata la Santa Sede. L’obiettivo, com’è risaputo, andava ben al di là della vicenda dei tre preti i quali – è bene ribadirlo – sono stati scagionati sul piano canonico e la denuncia, che aveva dato luogo a un’inchiesta penale, archiviata dal giudice.

Come la stessa Verrani dichiarò a una agenzia di stampa, la campagna di «sensibilizzazione» aveva lo scopo di far emergere quelle «storie che di per sé non sono collegate ai tre preti, ma che si assomigliano relativamente allo stile ecclesiale imposto. Sono storie di sofferenze di uomini e di donne seguiti pastoralmente da preti ultraconservatori che, appena si insediano in una comunità parrocchiale, la trasformano in toto in senso decisamente anticonciliare, esprimendo un potere assoluto nei confronti di chiunque, negando di fatto la dignità battesimale dei credenti, cui invece il Concilio Vaticano II aveva riconosciuto la corresponsabilità nella missione della Chiesa. È un clericalismo che sfocia nell’abuso, più o meno velato, più o meno grave, a seconda dei casi». Si trattava insomma – nel più puro stile stalinista o quantomeno della repressione antimodernista – di creare le condizioni, dando spazio a insinuazioni e sospetti, per l’epurazione di preti colpevoli soltanto di essere fedeli alla dottrina e di non essere allineati all’ecclesiologia insegnata da qualche teologo autoinvestitosi  tale. Con simili illuminanti trascorsi, la teologa Verrani appare veramente come la persona più idonea per  affrontare – nello spirito della «camminare insieme»  ecclesiale – la dura battaglia del sinodo sulla sinodalità ove, come ha detto l’eminentissimo Grech, «tutti possano avere  voce».

A proposito di voci, quelle dell’ultima ora dicono che il nuovo arcivescovo arriverà da Milano. Chi sarà? Cercheremo – senza violare il segreto pontificio – di scoprirlo.

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