Tutela della salute a giorni alterni

Lo spettacolare tramonto che domenica 12 dicembre scorso ha colorato il cielo di Torino di rosa e azzurro, è stato improvvisamente sporcato da una grande e spessa colonna di fumo nero. Un enorme pennacchio, intenso e visibile a distanza di molti chilometri, si è innalzato dallo stabilimento Demap di Beinasco riempiendo l’aria di un cattivo odore e, si è scoperto il giorno seguente, di fibre di amianto insieme ad altri elementi nocivi. Il fuoco è divampato da un impianto che tratta rifiuti plastici. La coltre tenebrosa si è alzata per decine e decine di metri nell’aria, superando di gran lunga i tetti delle abitazioni. Le nuvole tossiche create dalla combustione in poco tempo hanno generato a un fetore acre, tipico della plastica bruciata, che ha irritato la gola di chi si trovava anche a considerevole distanza dall’incendio. Le esalazioni, a detta di cittadini residenti nella zona dell’incidente, in alcuni casi hanno reso difficoltoso il respiro. È stata ordinata, in tempi non definibili “immediati”, l’evacuazione delle famiglie residenti nell’area limitrofa all’azienda andata a fuoco, mentre su gran parte del territorio interessato dal fumo sono rimaste aperte le scuole e le persone sono andate a lavorare, o a fare la spesa, pur percependo uno strano odore nell’aria.

La questione ambientale è un tema di grande richiamo elettorale, ma è destinata a rimanere ignorata dall’indomani della proclamazione degli eletti. La stessa salute dei cittadini non sembra oggetto di attenzione da parte della politica locale e soccombe di continuo innanzi agli interessi economici, al profitto di chi detiene saldo nelle mani il potere vero. Quando anni addietro la giunta comunale fece la scelta di istallare un nuovo impianto di incenerimento dei rifiuti al Gerbido, ai confini con Torino Sud, furono proposte alla cittadinanza e ai suoi amministratori alcune compensazioni territoriali a tutela dell’ambiente. Tra queste era stata assicurata la chiusura della Servizi Industriali di Beinasco, azienda nota per il trattamento dei rifiuti tossici, e la ricollocazione altrove di altre attività potenzialmente inquinanti. Ad oggi, nulla di quanto previsto nel punto precedente è stato ancora attuato, come dimostra il devastante incendio scoppiato domenica scorsa, e l’avvio dell’attività di incenerimento dei rifiuti urbani non ha coinciso con la diminuzione di fabbricati destinati allo stoccaggio e alla lavorazione di plastica, oppure di scarti di lavorazioni pericolosi e di difficile trattamento.

I torinesi residenti a Mirafiori hanno subito gli effetti di tre incendi devastanti nell’arco di pochi mesi. L’8 ottobre 2021 il fuoco ha colpito alcuni capannoni industriali appartenenti alla Transistor S.r.l., realtà industriale che tratta e lavora anch’essa materiale di plastica, e pure all’epoca fu fatto appello ai cittadini di Torino Sud di stare in casa e non aprire le finestre. Il 12 giugno 2021 invece una fabbrica di vernici, la Technima Sud Europa, con stabilimento a Roletto (Torino) è stata divorata da fiamme devastanti, i cui effetti sono ricaduti nuovamente nell’area Sud di Torino, i cui cittadini hanno inalato residui di sostanze dannose per la salute. Periodicamente quindi si incendiano impianti destinati alla lavorazione di plastiche, resine o altri materiali chimici; sistematicamente si elevano verso il cielo grandi quantità di elementi combusti avvolti da giganteschi coni di fumo nero che si abbattono su una popolazione inerme, indifesa e avvertita del pericolo con regolare ritardo.

Se l’aria fosse un fluido ben visibile da occhio umano probabilmente saremmo tutti maggiormente consapevoli dell’enorme quantità di veleno che respiriamo ogni giorno, e particolarmente nelle ore seguenti la combustione di sostanze chimiche quali la plastica. Una grave forma di inquinamento che colpisce innanzitutto i bambini e poi la salute degli individui già afflitti da malattie polmonari croniche. Un incendio come quello del 12 dicembre scorso vanifica gran parte degli sforzi fatti quest’anno per contenere i danni causati dagli scarichi delle autovetture diesel e dai riscaldamenti condominiali alimentati a gasolio.

Ancora un volta viene da chiedersi dove sono le istituzioni e la ragione per cui gli enti pubblici hanno abbandonato il loro importante ruolo di riferimento nella prevenzione di tali eventi, nel controllo degli impianti e nel rispetto dei patti siglati con la popolazione. Inoltre in quest’ultimo incendio è venuta a mancare la comunicazione, poiché la pericolosità delle emissioni rilasciate dalle fiamme è trapelata, ma dopo la fase di allarme non si è fatto nulla per informare i cittadini sul comportamento più idoneo per la tutela della loro salute.

A forza di privatizzare lo Stato, sono scomparse con esso le azioni utili alla riduzione dei rischi di danno ambientale e inquinamento, in aree già pesantemente gravate da impianti potenzialmente tossici. Gli stessi controlli dell’Arpa nelle aziende che trattano i rifiuti pericolosi per l’ambiente sembrano insufficienti, sicuramente a causa del poco personale, così come non appare soddisfacente il controllo della qualità dell’aria su Torino tramite le centraline.

Nel nome dell’economia e della più che libera iniziativa spariscono il diritto alla salute e l’informazione a tutela dei cittadini: una prassi a cui abbiamo fatto l’abitudine, specialmente al secondo anno di pandemia.

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