Le 5 sfide (vinte) di Marchionne

Cosa manca alla filiera dell’auto in Italia? Il “colpo di genio” di Marchionne come disse Giuseppe Berta storico conoscitore del mondo industriale. Nei giorni scorsi la Rai ha mandato in onda un documentario sulla sua figura a tre anni dalla sua scomparsa. Interessante, ma sulla parte sindacale ancora una volta sbilanciata sulla Fiom e sugli storici filofiom. A parte questo squilibrio storico presente nella comunicazione nostrana rimane il dato certo che la sua scomparsa ha condizionato, di sicuro, il processo di fusione con Psa e gli equilibri presenti nel consiglio di amministrazione di Stellantis.

Certamente ad Elkann come maggiore azionista in rappresentanza di Fca spettava il ruolo di presidente e non un ruolo operativo che ha assunto Tavares. Ma con Marchionne in pista sarebbe stato interessante assistere al loro duello e come si sarebbe organizzata l’impresa. Considerando che non era più possibile, come con Chrysler, suddividere il globo in spicchi d’influenza.

Un fatto è certo, senza la capacità di Marchionne nello sganciarsi da Gm, incassando soldi contanti; acquisendo Chrysler, praticamente fallita, gratuitamente in cambio di tecnologia e creando Fca, la Fiat sarebbe già “morta e sepolta” con gli stabilimenti italiani chiusi.

La vera e prima sfida di Marchionne fu il ridare nuova vita produttiva agli stabilimenti italiani rendendoli più efficienti, ristrutturandoli completamente, e competitivi. Da Pomigliano a Mirafiori passando da Cassino erano tutti stabilimenti senza futuro. Obsoleti, decrepiti e cadenti. Perciò anche insicuri, non adatti a produrre ancora. Furono investiti miliardi di euro per restituirli a nuova vita.

La seconda sfida vinta insieme al sindacato della Responsabilità e della Partecipazione – e aggiungerei della Prospettiva – quindi per forza manca all’appello qualche sindacato, fu darsi nuove regole d’ingaggio sindacale dentro degli stabilimenti rinnovati e nuovamente competitivi.

La terza sfida dentro lo scenario sopra descritto fu immettere negli stabilimenti nuovi modelli, dalla Fiat 500 (riportata dalla Polonia in Italia), alle nuove Alfa (con molti problemi come sulla Giulia) alle Maserati che nel triennio con meno crisi 2014/2017 dimostrarono le loro potenzialità sul mercato. Dalla Panda a Pomigliano alla Jeep Renegade a Melfi, la 500X e poi la Compass. E ora la Fiat 500 elettrica, vero gioiellino

Sui denigratori sindacali e politici non commento, l’ho già fatto, perché nella prima fase di Marchionne erano tutti suoi ammiratori e fans, quindi…

È vero che Marchionne era scettico sull’elettrico, ricordo una sua frase, con espressione ironica dietro una cortina di fumo, in un incontro sindacale: “non me li vedo i torinesi andare in Liguria con l’auto elettrica”. Non vorrei che fra dieci anni ci tocchi ammettere che aveva ragione lui. Fra dieci anni quando ci accorgeremo di quanto energia elettrica si consuma con le ricariche, quanto ci costeranno le ricariche e quanto costerà comprare energia dall’estero oltreché avere incrementato la nostra dipendenza da altri Paesi, magari non molto democratici. Oltretutto dovremmo anche interrogarci se la crisi/carenza dei microchip è temporanea o strutturale, va bene organizzare l’Europa con le gigafactory e le fabbriche di microchip, ma le materie prime sia per le batterie che per i chip sostanzialmente non si trovano in Europa.

La quarta sfida fu introdurre un nuovo modo di lavorare con il Wcm e i suoi “cugini” come il Wcl. Fabbriche in Italia, pulite, luminose, organizzate nei flussi, tecnologicamente e ergonomicamente realizzate per ridurre la fatica operaia. Pianali che si alzano e abbassano per fare lavorare sempre con la schiena dritta, auto che si ribaltano, ruotano e introduzione di nuovi strumenti come l’esoscheletro sono ancora l’eredità di Marchionne. Eredità che rischia di essere messa in discussione dalla “ruvidezza” transalpina che ritiene pulizia, luce, cura dell’ambiente un optional in cui è compresa anche una minor attenzione all’organizzazione del lavoro.

La quinta sfida è stato dare un colpo, non compreso da parte di molta imprenditoria, al sistema di relazioni sindacali con l’uscita da una ingessata Confindustria diventata un’associazione di multiservizi più che altro gestita da imprenditori con 50 dipendenti. Il Ccsl ha portato soldi nelle tasche dei lavoratori Fiat ma soprattutto ha di nuovo tracciato la strada a Confindustria che, seguendo l’esempio di Fca, ha accettato di modificare il sistema di inquadramento unico professionale ancora fermo al 1973.

L’era Marchionne è stata un’accelerazione in tutti i campi dal finanziario, all’industria alle relazioni sindacali, invidiata e osteggiata da molti suoi colleghi fuori da Fca; non capita da una parte di sindacato o, credo, capita molto bene e incapaci di gestirla. Era un leader e i leader possono piacere o meno, ma sono quelli che oggi mancano al nostro Paese proprio in un momento in cui abbiamo tanti soldi dal Pnrr e rischiamo di non saperli spendere o sprecarli. Purtroppo i leader non sono compresi nel pacchetto del Recovery e non li porta nemmeno Babbo Natale.

A proposito, Buon Natale!

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