LOTTA AL COVID

Quarantene, liberi dal Covid prigionieri della burocrazia

Nonostante il tampone negativo molti restano in isolamento per ritardi nelle procedure dei Sisp. I medici di famiglia: "Consentiteci di liberare i nostri assistiti". Conseguenze per le attività lavorative e c'è chi non fa il test per timore di restare recluso a lungo

Il tampone negativo conferma che l’infezione non c’è più, ma si resta a casa. Sequestrati dalla burocrazia. Eh già, ci risiamo o forse non ne siamo mai usciti nonostante siano passati quasi due anni da quelli che allora si potevano giustificare come intoppi figli dell’inesperienza e dell’emergenza capitata tra capo e collo, ma che oggi si mostrano come storture inaccettabili. E, ora come allora, sotto accusa non senza motivo ci sono i Sisp, i servizi di igiene e sanità pubblica cui è attribuito il compito di gestire i tracciamenti, gli isolamenti domiciliari, insomma quelle quarantene dalle quali per sempre più piemontesi è difficile uscire anche quando il test attesta l’essere passato da positivo a negativo al Covid.

“Se non funzionano, li chiudano”, sbotta Antonio Barillà, segretario regionale del sindacato dei medici di famiglia Smi. “In due anni, purtroppo, non è cambiato nulla. Siamo nella stessa situazione”, l’amara constatazione di Roberto Venesia che guida in Piemonte la Fimmg, altra sigla di rappresentanza dei medici di medicina generale. Dietro i vertici sindacali, centinaia, migliaia di camici bianchi sul territorio sfogano frustrazioni e difficoltà nelle chat di categoria, mentre chi avrebbe diritto di poter tornare ad uscire di casa, soprattutto riprendere la propria attività lavorativa, è invece prigioniero tra quattro mura in attesa di un via libera che spesso tarda parecchi giorni dopo l’esito negativo del tampone. Le conseguenze sono pesanti e non solo psicologiche: c’è chi ha un’attività in proprio e non può riprendere a lavorare senza il disco verde che deve arrivare dal Sisp e c’è chi temendo una quarantena prolungata oltre il dovuto non fa il tampone.

Non sono pochi i medici di famiglia che, oltre a segnalare sulla piattaforma informatica i casi sospetti o positivi, a prenotare i tamponi, sarebbero disponibili anche a liberare formalmente dalla quarantena i loro assistiti per i quali i test ha certificato la negativizzazione. Spiegano che perderebbero meno tempo rispetto a rispondere alle più che comprensibili telefonate di chi è sequestrato da lentezza e inefficienza. “Ma non si può, noi medici di medicina generale non possiamo fare quel che è attribuito per legge ai Sisp”, spiega Barillà. “Lo avevamo chiesto già più di un anno fa, purtroppo la risposta era stata negativa”, ricorda Venesia.

Insomma, chi sarebbe disposto a operare sulla piattaforma liberando dalla quarantena non può farlo e chi dovrebbe farlo non lo fa nei tempi e nei modi previsti. Anche le diverse prescrizioni – quarantena, isolamento e sorveglianza attiva – previste a seconda delle tipologie di contatti o accertati casi di positività rischiano, come purtroppo accade, di non essere applicate nella maniera dovuta, specie per quanto riguarda i tempi di presa in carico e, soprattutto, per la loro conclusione. Molti medici e gli stessi loro rappresentanti sindacali riferiscono di tardive o addirittura mancate emissioni del protocollo da parte dei Sisp, la procedura che di fatto applica la misura di sanità pubblica nei confronti di persone positive al virus e, una volta accertata la loro negativizzazione, la dovrebbe concludere immediatamente. Cosa che sempre più spesso, invece, avviene con giorni di ritardo. Tra le conseguenze anche le difficoltà a giustificare le assenze dal lavoro all’ente previdenziale da parte dei dipendenti.

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