Proposte concrete, non i soliti slogan

Carlo Verdone direbbe “nun jela fa”. Mi riferisco alla lettera della Fiom sul lavoro e l’automotive a Torino: analisi condivisibile seppure con dei distinguo, dal pessimismo “proletario” universale, tra cui il giudizio positivo dell’operazione di scorporo dell’Iveco che rafforza sia l’on road, sia l’off road, due settori che non sono in crisi, anzi.

Di cosa voglio parlare? Del modello sindacale naturalmente, perché dopo una pagina di analisi le conclusioni sono sconfortanti. Nessuna proposta ma l’obiettivo Fiom di “vigilare, incalzare e non lasciare soli le lavoratrici e i lavoratori. Noi lo faremo!” è la rappresentazione di un modello sindacale che non riesce ad andare nel futuro/presente.

Tutta un’analisi che si conclude con uno slogan, un po’ poco. Senza una proposta. Se il sindacato non ha proposte li ha già lasciati soli le lavoratrici e i lavoratori. Oppure la strategia sindacale della Fiom si riduce, confermandola, ad accompagnare in corteo i lavoratori delle aziende in crisi sotto le finestre della Regione e della Prefettura con i risultati non proprio brillanti degli ultimi tre/quattro anni? Eppure la Fiom nella due giorni di Mirafiori aveva presentato splendide presenze a destra come al centrosinistra e anche Magnifici Rettori che facevano presagire, considerate le frequentazioni, altrettante alleanze strategiche. Forse è più immagine che realtà.

Torniamo al modello sindacale che è proprio diverso dal modello sindacale cislino, come ampiamente dimostrato in occasione della trattativa con il Governo sulla Legge di Bilancio e pensioni. C’è chi ha bisogno come la Cgil e la Fiom di antiche pratiche e passaggi “istituzionali” come lo sciopero generale, per legittimarsi attraverso l’azione effimera e la Cisl che pensa alla concretezza dell’azione sui contenuti prima di decidere il passo, ultimo, dello sciopero.

Contenuti contro slogan, due modelli che non possono fare l’unità sindacale ma continuare un’unità d’azione, solo se vi è pari dignità, su contenuti condivisi e realizzabili, cioè compatibili.

Non si tratta di polemica, ma di sano realismo perché la questione della filiera dell’automotive a Torino e in Italia si affronta chiedendo i tavoli al Governo ma poi su quei tavoli si devono portare proposte, contenuti, non si può dire che ci limiteremo a vigilare. Il Sindacato, nella sua unità d’azione, sarebbe già sconfitto in partenza.

E non possiamo nemmeno lontanamente pensare che il tutto si riduca, come pensa anche una parte di imprenditoria, a incentivi e ammortizzatori sociali, che in una fase così delicata, se abbiamo solo quegli strumenti, sono l’anticamera, comoda per le aziende che non devono solo aspettare l’uscita guidata degli esuberi dall’azienda.  Ovvero, noi a gestire cortei arrabbiati e delusi in piazza Castello con lavoratori in cassa integrazione a carico dello Stato e le aziende a sgravarsi dei lavoratori  e dei costi. Allora il modello sindacale cislino è, come sempre, di mettersi in gioco, di proporre. L’abbiamo sempre fatto e provo a riassumerlo da cislino.

Occorre avere il coraggio di dire che la transizione dai motori endotermici all’elettrico ha tempi troppo brevi, e non solo l’Italia ma l’Europa dell’auto non è pronta. È pronta la Fiom a dirlo? Siamo inebriati dal fatto che parliamo di transizione verde, ecologica ma non sappiamo in realtà cosa significa e non siamo pronti, men che meno gli ambientalisti, a affrontare tale sfida. Non è pronta l’Italia con le infrastrutture, qualcuno immagina una stazione di benzina in autostrada solo con rifornimento elettrico? Tempi di attesa, code. E consideriamo anche i costi dell’energia elettrica, come produrla, con cosa. Già oggi qualcuno sta aumentando i costi delle ricariche dell’auto elettrica e le imprese sono in balia degli aumenti dei costi dell’energia che arriva essenzialmente dall’estero. Bisogna avere il coraggio di dire che il 2035 è troppo vicino.

Bisogna proporre un periodo misto (tipo la riforma del ’95 delle pensioni) in cui convivano l’ibrido benzina/elettrico e sviluppare il diesel/elettrico sull’auto con una riduzione graduale della componente endotermica. Appunto, una transizione. Bisogna proporre una radicale riforma del sistema formativo  e del mercato del lavoro anche prendendo come esperienze alcuni contratti nazionali come quello dei metalmeccanici sul diritto soggettivo alla formazione. Anche se pare che le imprese vogliono rifuggire il problema e considerarlo ambito esclusivamente loro, non dando mai certezza esecutiva a ciò che firmano. Lo dico proprio conoscendo bene la genesi del diritto soggettivo alla formazione del contratto nazionale metalmeccanico che, di fatto, per ora ha funzionato pochissimo.

A livello territoriale occorre costruire una rete tra imprese e scuola (formazione professionale e università) con una cabina di regia, presente il sindacato, affinché gli accordi sindacali, con esuberi, abbiamo un percorso predefinito e verificabile dai vari soggetti di formazione, riqualificazione e reinserimento lavorativo. Che può funzionare solo se si smette di dare in alternativa alla formazione, incentivi e buone uscite ai lavoratori (che è più facile per tutti) e se invece si introducono penalità per le aziende che non seguono la strada della riqualificazione sostenuta dall’Istituzione.

Insomma, due esempi concreti, per dire che bisogna “sporcarsi le mani” con il confronto, con la mediazione. Per dire che bisogna uscire dagli slogan “vacui e vuoti” come il “tutti insieme”. Tutti insieme significa che il sindacato con le imprese, con il sistema scolastico, con le istituzioni creano percorsi concreti di reinserimento al lavoro ma i lavoratori seguono percorsi singoli o di gruppo a seconda delle richieste aziendali. Lo capirà una parte del sindacato che occorre un salto di strategia per affrontare la transizione ecologica nell’auto in particolare? Dubito ma spero, anche con l’azione concreta.

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