Lavoro, quant'è difficile fare Gol

Great resignation. Ogni tanto per poter dare una notizia bisogna inventarsi un termine inglese per dare senso alla non notizia stessa. Intanto bisogna smentire, come invece scrive recentemente l’articolista di un quotidiano, che le dimissioni di massa non sono da lavori faticosi e malpagati. Infatti, le cinque interviste sono a persone che avevano una alta professionalità, un buon lavoro ben remunerato (tranne uno che ha avuto un’eredità) e quindi avevano alte potenzialità per mettersi in gioco sul mercato del lavoro e trovarne uno ancor meglio retribuito. Ma questo è sempre avvenuto. Ricordo ingegneri giovani che lavoravano in Alenia Spazio per due/tre anni non perché interessasse quel lavoro ma perché “faceva curriculum” per avere più opportunità di carriera in altre aziende.

Sicuramente la pandemia e lo smart working, che continuo a non ritenerlo uno strumento di conquista ma di ripiego quando se ne fa un uso di massa, hanno contribuito a creare le condizioni, per chi ha una elevata professionalità, per mettersi in gioco sul mercato del lavoro. Ma chi non ha queste opportunità, non ha un’alta professionalità è costretto a tenersi il lavoro che ha e in molti casi a “tenersi” la cassa integrazione.

Parliamo, allora, di lavoratori delle aziende in crisi e su questo dovrebbero indagare come si muove il mercato del lavoro che purtroppo non ha fenomeni da presentare ma solo stagnazione o precarietà. C’è da sottolineare che anche in questi casi le figure operaie professionalizzate come manutentori, attrezzisti, stampisti, elettronici, operatori a controllo numerico hanno un mercato e sono i primi ad andarsene dalle aziende in crisi. Ma tanti restano. Nei metalmeccanici è ancora prevalente il vecchio terzo livello.

Occupiamoci di questa fascia di mercato del lavoro, delle basse professionalità da riqualificare, da formare perché è bello parlare dei fenomeni che, in realtà, sono sempre stati tali. Ed è anche interessante analizzare i dati perché quando qualche giornale ha scoperto il “great resignation” era lo stesso periodo temporale in cui l’Istat diceva che l’occupazione è cresciuta, parliamo del 2020 e in particolare dell’autunno. Ma se davvero questo fenomeno della “great resignation” fosse così diffuso come si spiega che su 494mila nuovi assunti del 2020 solo lo 0,3% è a contratto a tempo indeterminato, cioè poco meno di 15mila persone. Quindi questo “fenomeno” del “basta, cambio lavoro” (perché posso farlo) considerando che nello 0,3% non tutti l’hanno fatto con quello spirito riguarderebbe poche migliaia di persone in tutta Italia. Dove è il fenomeno? Di cosa si parla e scrive qualche articolista?

Per fortuna le notizie interessanti non riguardano “le grandi dimissioni in Piemonte” ma ad esempio che l’area metropolitana è seconda dopo Milano, nel 2020, con 332 brevetti depositati e la maggior parte sono riferiti alle Key Enabling Technologies ovvero le tecnologie del biotech, fototonica, materiali avanzati, nano e micro elettronica, nanotecnologie e manifattura avanzata come automazione e robotica. Tutti settori su cui Torino è all’avanguardia come industria e su cui deve orientare la futura crescita.

Come si tiene insieme la fascia meno professionalizzata del mercato del lavoro, con i numeri alti di aziende in crisi come l’Embraco, e le eccellenze in cui primeggia in brevetti e attività il mondo dell’università, della ricerca, dell’industria torinese?

Intanto non esiste la bacchetta magica e quindi penso che occorra lavorare con il concetto di “riduzione del danno”, puntando allo zero danno anche se Achille non raggiungerà mai la tartaruga.

Il Governo fornisce uno strumento come il Gol (Garanzia occupabilità lavoratori, dal Decreto 306 del 27/12/21) il cui punto di debolezza è poggiare i suoi obiettivi sui Centri per l’Impiego, spero che il risultato non siano solamente le 11mila assunzioni nei CpI, come d’altra parte è avvenuto con i navigator dello sciagurato Reddito di Cittadinanza.

La sfida comunque dagli Enti Locali alla Regione e all’Area Metropolitana,va colta perché il decreto contiene inoltre i criteri e le quote di riparto della prima tranche di risorse, pari a 880 milioni di euro (dato nazionale), rispetto ai complessivi 4,9 miliardi messi a disposizione da Pnrr e React-Eu. Questo ambizioso programma del Governo coinvolge tutti i soggetti deboli sul mercato del lavoro dai disoccupati, ai lavoratori in cassa integrazione, dalla Naspi ai working poor (lavoratori con redditi molto bassi). Tutte le fasi di assistenza, presa in carico, profilazione ed orientamento, fino alla vera e propria realizzazione dell’incontro tra domanda ed offerta, saranno in carico ai Centri per l'Impiego, in coordinamento con Anpal e Inps. Il programma Gol atteso da anni come segnale di cambiamento del mercato del lavoro, ma temo non sarà così, si basa però, ripeto, sui CpI, oltre 550 in Italia, che tranne realtà positive come Torino ma dove ricollocano il 3% del mercato del lavoro, di fatto, non hanno funzionato.

È prevista un’integrazione con il sistema privato con una forma di sussidiarietà evolutama ancora tutta da costruire sia a livello nazionale che regionale. Che sarà sicuramente necessaria e auspicabile se si vuole far funzionare il Gol. Sono previsti cinque percorsi differenziati: 1. reinserimento occupazionale per profili più facilmente occupabili; 2. aggiornamento per migliorare le competenze specifiche; 3. riqualificazione con attività formative più robuste e specifiche; 4. lavoro ed inclusione (collaborazione con Comuni per casi più complessi); 5. ricollocazione collettiva per la gestione di crisi aziendali.

Le Regioni (in attuazione del Pnrr e dello stesso Programma Gol) sono tenute a raggiungere il primo step degli obiettivi di Gol entro il 2022 garantendo l'inizio delle attività formative ai percettori di ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito entro quattro mesi dall’avvio della fruizione della prestazione economica, ed entro il 2025il Ministero ha previsto il coinvolgimento di 3 milionidi lavoratori.

La sfida è ambiziosa ma se da un lato i segnali di ripresa ci sono e la vaccinazione che diventa obbligatoria, di fatto, per tutti, renderà meno faticoso gestire le aziende e segnerà un ulteriore segnale di normalità, avremo quindi uno scenario più gestibile anche per realizzare l’incrocio tra il mondo delle eccellenze torinesi e le basse professionalità. Gli imprenditori devono fare scelte coraggiose come investire e non aumentare il risparmio nelle banche in attesa di tempi migliori anche perché si rischia di perdere il treno della ripresa.

Per stare nel concreto sarà sicuramente finita la selezione per assumere i dieci lavoratori Embraco nelle aziende del candidato sindaco del centrodestra, come da impegni dichiarati…

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