SACRO & PROFANO

Il cantiere della "nuova" Bose.
Chi bacia la pantofola di Carlin

Ad Albiano d'Ivrea iniziati i lavori di ristrutturazione del cascinale che ospiterà l'ex priore Enzo Bianchi. Le omelie del vescovo di Tortona fanno scalpore. Mons. Castellucci predica ad Alba con lo sguardo su Torino (e omaggia il guru di Slow Food). L'agenda di Nosiglia

Lo scoop dello Spiffero della scorsa settimana in cui si dava notizia che Albiano d’Ivrea, pronubo monsignor Luigi Bettazzi, stesse per diventare, con l’arrivo di Enzo Bianchi, la capitale del progressismo cattolico, ha colpito nel segno. La segretezza che avvolgeva l’operazione è stata quindi repentinamente abbandonata e sono emersi particolari davvero interessanti. Ad Albiano infatti, Enzo Bianchi non si limiterà a guardare Bose dalla finestra del castello vescovile.  Fonti locali hanno messo in luce che egli fin dal luglio scorso, pochi giorni dopo il suo trasferimento sulla collina torinese, abbia acquistato un cascinale di notevoli dimensioni e – a giudicare dalla rendita catastale – di notevole valore. Si tratta di diciotto vani, con tanto di cortile e sette ettari di terreno ma soprattutto – particolare non trascurabile – collocati non lontano dal casello autostradale e quindi facilmente raggiungibili senza la necessità, come avveniva per Bose, di inerpicarsi lungo i tornanti della Serra. In paese non si parla d’altro e qualcuno sostiene che nel cascinale, dove la coppia dei precedenti inquilini ha già traslocato, siano avviati lavori di ristrutturazione.

Tutto questo fa ritenere, anche alle menti più sprovvedute, che Enzo Bianchi intenda “ricominciare” la sua esperienza a 15 chilometri da Bose e dopo aver rifiutato di vivere nella pieve di Cellole di S. Gemignano offertagli dalla stessa comunità in comodato d’uso gratuito. Sicuramente, egli non ricostituirà direttamente e ufficialmente una nuova comunità, in quanto ciò sarebbe in aperto contrasto con il punto 13 del decreto pontificio che gli ha fatto divieto di fondare comunità, associazioni o altre aggregazioni ecclesiali, ma per tutti i non pochi seguaci dell’ex priore, Albiano diventerà la nuova Bose. Appare pertanto più che legittimo domandarsi, come ha fatto lo studioso progressista Massimo Faggioli su twitter – suscitando gli strali di qualche arrabbiato seguace di Bianchi aduso ad emettere a destra e a manca patenti e sentenze di evangelicità – : «Vorrei sapere come si fa a farsi punire dal papa con “decreto singolare” firmato dal Segretario di Stato, e poi comprare un immobile di 18 vani, con giardino e sette ettari di terreno».

A tutt’oggi, non ci è dato sapere cosa dirà o farà il povero priore Luciano Manicardi – impegnato a Istanbul per riprendere le iniziative ecumeniche con il patriarca Bartolomeo – adesso che l’«esilio» di fratel Enzo è finito e ha alzato le tende a poca distanza da lui. Sicuramente, da uomo intelligente qual è, qualche domanda su come la giustizia funzioni nella Chiesa liquida di oggi se la sarà posta e soprattutto come l’obbedienza venga fatta osservare scrupolosamente soltanto verso gli innocui tradizionalisti senza accesso ai media che contano. L’impressione dei più – per rimanere nell’ecumenismo – è che assisteremo in futuro alla “guerra delle due Bose”.

Fra parecchi preti – giovani e di mezza età di tutte le diocesi piemontesi – circolano in maniera virale le omelie che monsignor Guido Marini, neovescovo di Tortona, ha tenuto durante le scorse festività natalizie. Per molti di loro, abituati a vederlo a fianco degli ultimi due papi, ascoltarlo per la prima volta è stata una vera sorpresa e non pochi hanno sospirato di rammarico invidiando non poco i loro confratelli tortonesi. Senza un rigo scritto davanti, il vescovo Marini non ha detto e non dice mai nulla di eclatante, né cerca di stupire l’uditorio ma si limita ad annunciare, incessantemente e instancabilmente in tutte le forme, una verità un tempo indiscussa e che quando nel 2000 fu ribadita dall’Istruzione Dominus  Jesus fu subissata di critiche e contumelie. Il documento affermava che Gesù Cristo non è uno dei tanti volti che il Logos avrebbe assunto nel corso del tempo per comunicare salvificamente con l’umanità ma l’unico e necessario Salvatore di tutti gli uomini, solamente lui, il figlio di Maria, è il Figlio del Verbo del Padre. Egli stabilì non una semplice comunità di discepoli, ma costituì la Chiesa come mistero salvifico che ne continua l’opera di salvezza.

L’interesse suscitato tra i preti e anche tra i laici per temi che da tempo – pur fondamentali – non vengono più trattati  è forse da addebitarsi alla noia che destano nei sempre più radi fedeli omelie intrise di banalità, sociologismi, vago umanesimo, richiami moralistici e preoccupazioni sociali e verso un Gesù che avrebbe da mostrare soltanto la sua esemplare umanità. Monsignor Marini non è però nuovo a dare “scandalo”. Anni fa, l’organismo di collegamento dei seminaristi piemontesi pensò bene – con santa ingenuità – di invitare l’allora maestro delle cerimonie pontificie di Benedetto XVI, a tenere una conferenza sulla liturgia. Si scatenò il pandemonio. I vescovi piemontesi, di solito indifferenti e rassegnati al deserto vocazionale e per la maggior parte succubi di qualche pseudoteologo, insorsero come un sol uomo. Si distinse fra essi il vescovo di Casale Monferrato Alceste Catella, liturgista di obbedienza grillina (nel senso di Andrea Grillo) che espresse tutta la sua indignazione per aver quei giovani sprovveduti osato rivolgere tale invito. Abituati, come tutto il clero progressista, a criticare e a prendere le distanze – anche in pubblico – dal magistero di Benedetto XVI essi sapevano che nulla sarebbe loro successo. La conferenza di monsignor Marini ebbe lo stesso luogo ma in molti seminaristi – redarguiti in privato – l’episodio lasciò il segno. D’altro canto è notorio come al seminario di Torino, ai tempi di Giovanni Paolo II, i libri del cardinale Ratzinger circolassero clandestinamente e il seminarista sorpreso a leggerli passava qualche guaio.

Oggi che la papolatria ha raggiunto livelli che preoccupano anche diverse menti libere del campo progressista cattolico e laico, nessuno oserebbe mai azzardare il benché minimo rilievo al supremo seggio per il timor panico che anche la più innocente, giudiziosa e costruttiva critica raggiunga il papa e il suo cerchio magico. Scatterebbero immediatamente – come testimoniano ormai decine e decine di casi in tutto il mondo – l’indagine, la repressione e la rimozione senza alcuna motivazione e senza che si levi una voce in difesa, a meno di essere Enzo Bianchi dove peraltro – va detto con chiarezza – la procedura che lo ha allontanato da Bose è stata tutt’altro che limpida. Da quando nel 2016 il papa impose al vescovo di Albenga monsignor Mario Oliveri le dimissioni, nel comunicato ufficiale di accoglimento delle stesse non viene più indicato il canone di riferimento e i vescovi sanno che tale trattamento può essere riservato in ogni momento a qualunque di loro come avviene nella curia romana dove basta una telefonata per essere allontanati e dimessi. Prima che di un sinodo sulla sinodalità, la Chiesa avrebbe bisogno del ritorno al diritto o – per dirla tutta – alla legalità e ancor prima di vescovi, magari almeno in possesso della licenza, liberi e coraggiosi, dotati della vera parresia, come lo fu il compianto monsignor Luigi Negri. Oggi sono invece i tempi del conformismo acritico e pavido.

Martedì prossimo 18 gennaio sarà ad Alba per tenere una conferenza sulla sinodalità l’arcivescovo di Modena e Carpi monsignor Erio Castellucci, uno dei nomi più accreditati alla successione di monsignor Cesare Nosiglia il quale, dettaglio non trascurabile, sta riempiendo la sua agenda di una fitta serie di impegni per le prossime settimane sia a Torino sia Susa. Monsignor Castellucci, vicepresidente della Cei e teologo di fama, è il candidato del clero boariniano e dei canonici di S. Lorenzo con i quali è legato da buoni rapporti. Particolare curioso ma significativo. Come altri vescovi italiani sulla cresta dell’onda, anche Castellucci si recherà a rendere omaggio ad un personaggio laico di cui sono noti i cordiali rapporti con papa Francesco e la non episodica frequentazione di S. Marta. Non si tratta di qualche grigio dirigente dell’Azione Cattolica o della ex Fuci ma bensì di Carlin Petrini, gastronomo, sociologo, scrittore, fondatore di Slow Food. Egli, oltre a essere un grande estimatore e commentatore dell’enciclica Laudato sì, è anche l’autore del libro Terra futura che raccoglie i dialoghi da lui avuti con il Papa sui temi dell’ecologia integrale. Chissà allora che durante l’incontro, il fondatore dell’Università del gusto, non rechi a monsignor Castellucci qualche bella notizia.