La sicurezza deve "convenire"

Anche di fronte alla tragica morte di un ragazzo diciottenne serve che ci sia una parte di società capace di indignarsi ma con il dovere di mantenere la lucidità proprio per riflettere e agire in modo che si estenda sempre più il contenimento del danno.

Le cifre sono però impressionanti, nel 2021 sono morti 1.404 lavoratori per infortuni sul lavoro, di questi 695 sui luoghi di attività (+18% rispetto al 2020), mentre i rimanenti in itinere, vale a dire nel tragitto verso o dal posto di lavoro. Se calcoliamo che i giorni lavorativi sono circa 220 all’anno, sebbene molti lavorino anche il sabato e domenica, abbiamo sei morti al giorno tra lunedì e venerdì.

È anche interessante, per agire e intervenire con azioni mirate, analizzare i dati regione per regione: i deceduti sono 78 in Lombardia, 70 in Campania, 55 in Toscana, 53 in Emilia Romagna, 53 in Piemonte, 51 in Veneto, 40 nel Lazio, 34 in Calabria, 32 in Puglia, 30 in Sicilia, 28 in Abruzzo, 24 in Trentino Alto Adige, 22 nelle Marche, 15 in Friuli Venezia Giulia, 15 in Sardegna, 9 in Umbria, 9 in Basilicata, 7 in Liguria e 3 in Valle d'Aosta. Il Piemonte è quinto e le prime sei sono le Regioni non solo più industrializzate ma anche dove sono più sviluppati i restanti settori che primeggiano in infortuni mortali.

Infatti i settori con più infortuni sono l'Agricoltura, l’Edilizia, l’Autotrasporto e l’Industria. L’agricoltura registra il 30,22% di tutti i deceduti sui luoghi di lavoro: di questi ben il 75% sono stati schiacciati dai trattori (158) e l’età varia dai 14 agli 88 anni. Purtroppo c’è da dire che in Italia sono vent’anni che si discute di introdurre la revisione dei trattori, che ha un parco macchine obsoleto ma nulla è ancora compiuto definitivamente e ci si continua a ribaltare e morire. L'edilizia registra il 15%, la maggioranza provocata da cadute dall'alto; moltissimi morti lavoravano in nero, in prevalenza nelle regioni del Sud. Nell'autotrasporto i morti sono il 10,75% di tutti quelli sui luoghi di lavoro: un aumento notevole anche dovuto alla crescita esponenziale del trasporto su gomma dovuto agli acquisti online. L’industria rappresenta il 5,89% di tutti quelli che hanno perso la vita sui luoghi di lavoro: sono quasi tutti nelle piccole e piccolissime aziende dove non è presente il sindacato o un responsabile della sicurezza.

Allora occorre analizzarne le cause, i luoghi, i perché e intervenire in modo mirato. Sgombriamo il campo dalle illazioni: non sono né il Superbonus nell'edilizia, né l’alternanza scuola-lavoro le cause ma conta l’inefficienza e il prevalere di interessi corporativi; in agricoltura se non si avvia la revisione obbligatoria dei trattori; è anche un problema geografico e bisogna concentrasi sui territori per l’edilizia e, cinicamente ma lucidamente, l’industria è la parte più piccola del dramma delle morti.

Si direbbe che questa rappresentazione merceologica e geografica faccia balzare agli occhi un dato sociale importantissimo: laddove c’è il sindacato presente nel luogo di lavoro vi sono meno incidenti mortali. Allora è un problema di volontà politica nel legiferare, di formazione, di cultura e ancora una volta non si riesce a trasformare la cultura della sicurezza in convenienza non solo sociale ma anche economica per il Paese. L’industria della sicurezza è anche un business economico: pensiamo a quanto costa a un’impresa edile tutta l’attività sui ponteggi che però ha sviluppato un settore commerciale. Ci sono imprese nate per fare solo quell’attività. L’industria delle attrezzature dalle imbragature alle tute, dai guanti ai caschi. Oggi un giunto cardanico di un trattore ha più parti per la sicurezza dell’operatore rispetto al solo organo di trasmissione all’attrezzo portato.

Dall’altro lato, se aumentano i costi per le imprese, bisogna rendere conveniente lavorare in sicurezza. Dalle ore formative ai costi per materiale inerenti la sicurezza bisogna introdurre e migliorare interventi che non aggravino l’impresa ma anzi ragionare su sistemi premiali e non solo punitivi.

Certo occorrono più ispettori e controlli ma e anche qui va selezionato dove intervenire ed è evidente che per l’industria ma non solo, è prevalente la piccola impresa come luogo di maggiore attenzione. Anche per aiutarle perché sovente non hanno le competenze e la capacità economica. Quindi un sistema di più controlli e repressione quando serve ma accompagnato da un sistema premiale e di sostegno burocratico-amministrativo per operare in sicurezza sulla piccola impresa. Su questo possono fare e molto, andando oltre la routine, le associazioni imprenditoriali e anche le Amministrazioni.

Nel lontano 2013 in Skf abbiamo realizzato un accordo sindacale in cui i lavoratori venivano premiati economicamente se venivano rispettate tutte le norme di sicurezza sul posto di lavoro. Questo sistema premiale incentivava il lavoratore a rispettare le norme antinfortunistiche e a farle rispettare, segnalando anche al sindacato le violazioni, aziendali, a tutta la struttura aziendale. In questo modo si riducevano gli infortuni, già bassissimi, per fortuna, e si prendeva un premio di risultato.

Se questa è la strada cestiniamo l’idea che qualche intellettuale della sinistra torinese ha dell’alternanza scuola-lavoro, magari confondendola con i percorsi scolastici per la formazione professionale che prevedono attività in azienda. Sostenere che l’alternanza scuola-lavoro va bene farla nei musei, nelle biblioteche, nei luoghi di cultura è ripudiare, a sinistra, il mondo del lavoro manuale, il sapere operaio, il luogo di lavoro di chi fatica ogni giorno.

Ecco è uno strano modo di pensare, per fortuna credo limitato a qualche polveroso intellettuale della gauche ma che purtroppo delimita e evidenzia anche un perimetro in cui la sinistra non è più rappresentata come dovrebbe: la fabbrica, gli operai che esistono e sono ancora tanti, non solo quando muoiono sul lavoro. Ricordiamocene.

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