Ancora tuona il cannone

Il nazionalismo è stato al centro di molte fasi storiche che hanno interessato il continente europeo. In alcune epoche, i cosiddetti valori patriottici hanno favorito rivoluzioni indipendentiste, come nel 1848 e durante il Risorgimento italiano, in altre invece sono stati causa di terribili guerre dallo scopo puramente espansionistico.

La Prima guerra mondiale ha riportato in auge ovunque i valori sciovinisti, generando la crescita incontrollata di partiti e gruppi armati impegnati a dividere i propri connazionali in buoni e cattivi, secondo la loro fede e l’etnia di appartenenza. Durante il XX secolo, nella prima metà soprattutto, sono stati perpetuati numerosi genocidi nel nome della razza e della supremazia di un popolo sull’altro.

L’unica barriera costruita a freno del dilagante fanatismo nazionalista è stata quella costruita dal Movimento operaio negli anni Venti, attivo anche in Germania nel tentativo di contrastare l’ascesa di Hitler. I lavoratori all’epoca avevano compreso molto bene come i conflitti armati tra popoli fossero ad esclusivo uso e consumo delle classi padronali, di coloro che dalle guerre guadagnavano potere e ghiotti profitti. Sorte avversa e miseria era invece riservata alle famiglie proletarie, private di chi portava il salario a casa poiché trasformato in carne da cannone.

Negli uffici che si affacciano su Wall Street, nei club esclusivi di Londra, nei caffè riservati ai magnati di Roma come di Mosca e Washington si decidono anche oggi i destini del mondo; si dichiarano le belligeranze tra un brindisi e una tartina al caviale.

L’equilibrio mondiale deciso a Yalta, al termine del secondo conflitto mondiale, è venuto meno dopo la caduta del muro di Berlino e la crisi delle formazioni politiche socialiste occidentali, causando una vigorosa ripresa dei sentimenti ultra-patriottici. Gli ideali internazionalisti, alla base delle lotte operaie, sono stati sostituiti da ideologie incentrate sull’esclusione, su vecchi rancori nati in epoche storiche oramai lontane. Si è offerto così un terreno fertile a chiunque, animato da delirio di potere o da voglie speculative, volesse portare a proprio vantaggio il mutato clima politico.

La guerra fratricida scoppiata in Jugoslavia ha segnato il drammatico avvio di una nuova stagione che paradossalmente si rifà ai secoli scorsi, in cui le appartenenze nazionali, oppure il credo religioso, potevano essere motivo di esecuzioni sommarie e di “pulizie” etniche di intere regioni. Violenti combattimenti hanno annientato città e distrutto per sempre una comunità cresciuta, per decenni, sotto un’unica bandiera federale.

Pochi hanno osato gridare in piazza il dissenso nei riguardi del conflitto balcanico, in cui si sono riorganizzate milizie naziste e si è creato il presupposto per rimuovere in Europa il tabù sulla parola “Guerra”. Da allora ovunque nel mondo sono stati fatti cadere governi e regimi a suon di bombe, atti perpetuati con assoluta indifferenza per i civili morti o costretti a fuggire altrove in cerca di asilo.

Oggi purtroppo siamo di nuovo alle prese con una tragedia che affonda le radici nel passato. Il conflitto in atto tra Ucraina e Russia ha tutte le caratteristiche dei conflitti nazionalisti, anziché di quelli imperialisti. È iniziato con l’emarginazione e la cacciata degli ucraini di lingua russa dalla vita pubblica del loro Paese e si è involuto, passando attraverso una guerra condotta nelle regioni filorusse, con un attacco militare di Mosca sul territorio ucraino. Un’altra lunga belligeranza fratricida che ricorda amaramente quella scoppiata, con il silenzio assenso di molti stati europei, in Jugoslavia e pronta a trasformarsi in un enorme campo di battaglia dove si affrontano in realtà la Nato e la Russia.

A distanza di cento anni la Storia non ha insegnato nulla sugli errori del passato. Uguali gli scenari e identici i beneficiari che godono guadagni mentre i cannoni sparano. Nei prossimi giorni a Roma, come riporta la carta stampata, su invito dell’amministratore delegato della Fondazione Leonardo, Alessandro Profumo, si ritroveranno le aziende che producono armamenti per valutare l’incremento dei propri introiti, ma pure gli scenari futuri alla luce del massiccio invio di aiuti bellici in Ucraina.   

L’unica assenza rispetto al primo ventennio del Novecento è quella pesante del movimento dei lavoratori. Nessuno oggi dalle piazze grida a pieni polmoni “Pace”, anzi, quelli che avrebbero voluto farlo in occasione del Primo Maggio a Torino sono stati isolati e caricati dalle forze di polizia. Durante gli scontri, sul palco di piazza San Carlo, un oratore dichiarava di condividere l’invio di armi pesanti a Kiev per tutelare la Democrazia e contrastare l’autoritarismo: una tesi bellicista che mai avrebbe trovato consenso nei cortei della Festa del Lavoro che sfilavano nel secolo scorso, almeno sino all’avvento di Mussolini.

Il presidente Draghi ha affermato di voler andare avanti per la strada antipacifista intrapresa, dimostrando di poter fare a meno del Parlamento, e il vento dello sciovinismo ha ricominciato a soffiare con forza ovunque.

A chi toccherà il ruolo di carne da trincea? La risposta temo sia più che mai scontata. Saranno gli stessi a cui il Duce chiese di scegliere tra il burro e i cannoni, e che in autunno dovranno rinunciare al riscaldamento per portare armi sul fronte orientale.

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