SACRO & PROFANO

Tra Susa e Torino, il "doppio" debutto del vescovo Repole

Una cerimonia "finto povera" nel capoluogo (ma gli apparati pare provenissero da un famoso atelier liturgico lombardo molto chic), ingresso più solenne nella cattedrale di San Giusto. Preludio di un episcopato in cerca di identità

Qualche noterella sulla cerimonia di ordinazione del nuovo arcivescovo monsignor Roberto Repole avvenuta sul sagrato del duomo sotto un cielo piovigginoso ma che a tratti ha lasciato trasparire qualche raggio di sole. L’apparato esterno – concepito dagli ideologi dell’ufficio liturgico – era ispirato ovviamente allo stile finto povero per cui ai tanti splendidi paliotti della cattedrale o della Consolata è stato preferito un modestissimo – per non dire squallido – tavolino ricoperto di una tovaglia etnica tessuta, così come la casula e la mitria del neo vescovo, che sono apparsi ad alcuni come un campione di tappezzeria stile modernariato.

Tale apparente modestia non deve però ingannare in quanto tutti sanno che gli apparati pare provengano da un famoso atelier liturgico lombardo noto per i suoi elevatissimi prezzi e ove operano artisti di fama, ben consapevoli però dello stile celebrativo “conciliare”. Il programma musicale ha persino previsto e cantato il Veni Creator– ricordiamo che alla ordinazione di monsignor Pier Giorgio Micchiardi nel 1991 esso fu proibito – il Kyriee il Gloriadella Missa de Angelis in latino a cui sono seguite però, durante l’imposizione dell’anello e del pastorale e come omaggio a don Carlo Franco, le solite schitarrate. Molti si sono chiesti chi fossero le due signore in paonazzo e cremisi – colori primaverili o auspicio di futuri ministeri? – inserite nella processione d’ingresso. Si è saputo che erano le «ministre ordinate» nel ruolo di lettrici. Ad un certo punto, nel bel mezzo della cerimonia, durante l’imposizione della mitria, uno dei diaconi in dalmatica sull’altare ha impugnato il cellulare e si è messo tranquillamente a scattare fotografie.

Nel complesso è stato il trionfo dei camicioni con zip e maniconi svolazzanti per cui l’unico dotato di «nobile semplicità» è apparso il cerimoniere di Susa, per la verità un po’ spaesato da tanta creatività, mentre monsignor Giacomo Martinacci, nel suo imperioso gesticolare, più che un cerimoniere aveva le sembianze di un caporale di giornata. La presenza del clero è stata piuttosto rada e quella del popolo, forse a causa delle misure di sicurezza e contenimento, poco folta. L’omelia di monsignor Cesare Nosiglia non ha riservato – more solito – alcuna emozione. Sincero e caloroso si è manifestato l’affetto di quei gruppi che hanno avuto don Repole come loro guida spirituale.

Nel saluto finale molti i ringraziamenti del nuovo arcivescovo. In primis, naturalmente, al gruppo di San Lorenzo che – occorre dirlo – ha visto premiato, a differenza di altri isolati e sparsi, il suo agire e pensare in comune, al defunto don Sergio Boarino e al guru don Giovanni Ferretti presente accanto a Repole. Tra le omissioni è stata notata quella del vescovo che l’ha ordinato, il cardinale Giovanni Saldarini e di colui che lo ha avviato agli studi teologici, il mai dimenticato don Franco Ardusso. Ma, oltre alle note di colore, monsignor Repole ha offerto almeno tre pensieri, gravidi di conseguenze, che vale la pena mettere in luce. Il primo: la ferma fede nella Risurrezione, poiché se Cristo è risorto «può prendersi tutto». Il secondo: la Chiesa non è il «prolungamento» del mondo. Il terzo: se si ripone nel mondo finito la speranza delle aspirazioni infinite del cuore umano si arriva inevitabilmente all’infelicità e alla disperazione. Pensieri abbastanza estranei all’«ecclesialmente corretto» imperante che, per esempio, non si ritrovano minimamente nella sintesi sinodale e che fanno ben sperare.

Molto più composto e solenne è stato l’ingresso di monsignor Repole nella cattedrale di Susa dove, accolto dai canonici – a Torino pare si nascondessero – è risuonato possente da parte del coro, accompagnato da organo e tromba, l’antico inno, proprio dell’occasione, Ecce Sacerdos Magnus,  per non parlare poi delChristus Vincit, che i “liturgofrenici” del capoluogo hanno fatto  scomparire  da decenni dal repertorio. In forma smagliante si è mostrato il valsusino monsignor Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto e Norcia, mentre nei primi banchi assistevano alla Messa il presidente della Regione Alberto Cirio e i sindaci della Valle. Breve ma vibrante l’omelia del nuovo vescovo di Susa, laddove ha descritto il suo compito come quello di colui che deve insegnare alle proprie pecore a «distinguere e a conoscere la voce dell’Unico Pastore» perchéesse «non si inventino un cammino loro ma seguano Cristo».

print_icon