SACRO & PROFANO

Repole va dal Papa per la Cei, Brambilla (quasi) in disgrazia

Il nuovo arcivescovo all'assemblea con il Santo Padre: c'è da scegliere il successore di Bassetti. A Novara è stato fatto il punto drammatico delle vocazioni: dalle 16 diocesi piemontesi solo 75 seminaristi. Chi entra e chi esce dal cerchio magico di Santa Marta

Domani anche il neo arcivescovo Roberto Repole parteciperà a Roma, per la prima volta, all’annuale assemblea generale della Cei e insieme ai suoi confratelli vescovi incontrerà a porte chiuse papa Francesco. In tale occasione, i buoni presuli della penisola sanno già che – pur non conoscendo l’argomento – riceveranno la consueta lavata di capo. È noto infatti che il Santo Padre quando si trova di fronte alla pletora dei 226 vescovi italiani, al solo vederli, perda la pazienza e proferisca quelle battute che – ben più di ogni allocuzione – manifestano a pieno il suo animus.Si avrà poi quello che ormai tutti i vescovi definiscono un vero diktat e cioè la chiara indicazione – in perfetto stile sinodale! – di chi dovranno eleggere come loro presidente in sostituzione dell’ottantenne cardinale Gualtiero Bassetti. Francesco ha già fatto sapere infatti, in un’intervista, che il presidente dovrà essere un cardinale e a questo punto i prescelti non possono che essere due: l’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi o l’arcivescovo di Siena Augusto Paolo Lojudice. Deciderà il papa monarca.     

Ha avuto luogo a Novara nei giorni scorsi l’annuale incontro dei seminaristi del Piemonte e in tale occasione il vescovo Giulio Franco Brambilla ha tenuto una dotta e interessante riflessione ribadendo alcuni punti fermi sulla natura del ministero ordinato secondo le linee direttrici della ecclesiologia dominante. I numeri sono sconsolanti. La situazione dei seminari piemontesi è a dir poco drammatica. A tutt’oggi gli aspiranti al sacerdozio delle sedici diocesi piemontesi sono 75 (di cui però ben 12 appartengono al Cammino Neocatecumenale di Kiko Argüello) per quattro milioni e mezzo di abitanti. La proiezione, nei prossimi anni, è di un sacerdote ogni 60.000 abitanti, cioè il nulla. Le cause sono molteplici: la secolarizzazione, il cambiamento sociale, la crisi della famiglia, l’irrilevanza della figura del prete etc. Ma vi è anche, non ultimo, il perseguito e voluto cambiamento della identità del sacerdote, termine questo che ormai si evita in tutti i modi di usare preferendosi il più anodino presbitero. Se esso infatti è ridotto ad uno dei ministeri della Chiesa, se non è più l’uomo del sacro ordinato per il Sacrificio dell’Altare, se si archivia la Presbyterorum Ordinisdel Vaticano II per cui invece la consacrazione è il fondamento irrinunciabile della missione, nessuno certo vorrà fare – se non per bisogno – quello che l’ex prete e teologo progressista Eugen Drewermann definiva il «funzionario di Dio». Come ebbe a dire il cardinale Ratzinger in riferimento alle comunità tradizionali, oggi perseguitate come non mai: «Andremo da loro a chiedere sacerdoti».

A proposito del vescovo di Novara, già vicepresidente della Cei dal 2015 al 2021, si può tranquillamente dire che egli viene da tempo rubricato come una delle ormai numerose vittime degli “umori” del papa, scaricato senza tanti complimenti, come molti altri, in quanto colpevole di aver manifestato qualche opinione libera. Singolare destino quello di Giulio Franco Brambilla, classe 1949, ordinato nel 1975, già professore di Cristologia e preside della facoltà teologica di Milano, che nel 1989 sottoscrisse insieme ad altre 63 personalità progressiste (tra cui Giovanni Ferretti, Enzo Bianchi, Eugenio Costa) una lettera di aperta contestazione al magistero teologico di Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger.  Nella sua magnanimità, nel 2007 Benedetto XVI lo nominò vescovo ausiliare di Milano per poi traslarlo a Novara nel 2011 e ci si può legittimamente domandare se potrebbe mai avvenire da parte di Francesco l’elevazione all’episcopato di un suo critico ma, come vediamo tutti i giorni, tra i due pontefici altro è lo stile e altra la nozione e la pratica della comunione ecclesiale, peraltro tanto sbandierata. Con papa Bergoglio, Brambilla iniziò la sua effimera ascesa fino a giocare un ruolo durante i due sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015. Ma proprio qui iniziarono i problemi. Solo per aver manifestato al papa la necessità di un ancoraggio più saldo a una morale oggettiva, cadde in disgrazia e da allora è stato un progressivo ostracismo da parte del “cerchio magico” di Santa Marta. Ma c’è di più. Come ha osservato il vaticanista Sandro Magister,   Brambilla, studioso di Edward Schillebeeckx, Karl Rahner e Hans Urs von Balthasar, certamente non un tradizionalista, ha pubblicato nel 2020 un intervento sull’interpretazione del Concilio Vaticano II nel solco della «riforma nella continuità» di Benedetto XVI del memorabile discorso del 22 dicembre 2005 arrivando, a fronte «delle molte banalità» che circolano sul Vaticano II, ad apprezzare i criteri di storicità enunciati dal conservatore cardinale Walter Brandmüller. Da allora il vescovo di Novara   è in caduta libera. Con la nomina di Roberto Repole, ha pure perso l’ultima battaglia contro la sgangherata egemonia dei vescovi torinesi nella Cep e per una seria riforma degli studi teologici in Piemonte. Fra due anni Brambilla lascerà Novara e si ritirerà nella sua casa in Brianza. Mesta nemesi, come quella di Fratel Enzo Bianchi, anche lui firmatario della lettera antiwoityliana del 1989.

È sbarcata a Torino la folta delegazione romana della Commissione pontificia di verifica e applicazione del Motu Proprio Mitis Iudexnelle Chiese d’Italia. Essa ha il compito di «constatare e verificare la piena applicazione della riforma del processo di nullità matrimoniale» e ha voluto iniziare i suoi lavori proprio dal Piemonte dove le diocesi, salvo Alessandria, non hanno finora dato sostanzialmente corso – con oggettive ragioni – all’istituzione dei tribunali ecclesiastici diocesani. La delegazione, presieduta da monsignor Alejandro Arellano Cedillo, decano della Rota Romana e pupillo del papa – è stata ricevuta a Villa Lascaris dall’arcivescovo di Vercelli monsignor Marco Arnolfo che, sino a quando la Cep non eleggerà in autunno il successore di monsignor Cesare Nosiglia – leggasi Roberto Repole – guiderà i presuli piemontesi. Il tema è delicato, si tratta infatti – secondo il volere del papa – di destrutturare i tribunali ecclesiastici regionali voluti da Pio XI che con i suoi magistrati e avvocati, hanno dato buona prova di competenza e affidabilità giuridica producendo una copiosa giurisprudenza matrimoniale canonica. Al loro posto subentreranno i vescovi, in quanto pastori «e per ciò stessi giudici» del loro gregge che dovranno decidere sulle cause di nullità con procedure drasticamente abbreviate e per via extragiudiziale. Persino il cardinale Walter Kasper – da tempo uscito dal “cerchio magico” di Santa Marta – aveva messo in guardia su «un allargamento delle procedure di nullità» che «creerebbe la pericolosa impressione che la Chiesa proceda in modo disonesto a concedere quelli che in realtà sono divorzi». I vescovi presenti a Villa Lascaris hanno sfoggiato sorrisi ma, come per il sinodo, sono preoccupatissimi.

Il diritto pare non sia proprio il punto forte di questo pontificato. Come gran parte degli osservatori stanno rilevando – si veda l’informatissimo e puntuale sito Silere non possum – l’imbarazzante processo sulla vendita del palazzo di Londra che vede, tra gli altri, imputato il cardinale Angelo Becciu, sta infatti volgendo in farsa. Ormai appare chiaro dal dibattimento che il papa non solo era informatissimo sulla vicenda, ma ne aveva approvato personalmente i più importanti passaggi. Alcuni giuristi hanno rilevato che nell’ordinamento processuale penale italiano un simile procedimento, gravato da macroscopiche incongruenze, sarebbe già stato annullato.

Come anticipato dallo Spiffero, il nuovo segretario dell’arcivescovo Repole sarà per la prima volta un laico, già residente presso i Padri Serviti di San Carlo. Si tratta di Roberto Beda e collaborerà con gli altri due segretari sacerdoti don Mauro Grosso e don Enrico Griffa. Omne trinum est perfectum?

Prosegue il “cammino sinodale” a livello nazionale nella sua fase di “ascolto”. In un incontro a Roma dei giorni scorsi dei referenti diocesani, l’arcivescovo di Modena e grande sostenitore di don Roberto Repole, monsignor Erio Castellucci, ha affermato che «dobbiamo essere una Chiesa “camper” che sa muoversi e accogliere senza fissarsi sul terreno». Dunque dalla Chiesa «ospedale da campo» al camper. A quando la Chiesa ambulanza?

Uno degli eventi promossi dalla diocesi di Torino al Salone del Libro si è svolto giovedì scorso e ha avuto come protagonisti il teologo che va per la maggiore Vito Mancuso e l’arcivescovo di Bologna cardinale Matteo Zuppi che hanno parlato sul tema «Trovare Dio in ciò che non conosciamo. Dietrich Bonhoeffer». Figura tra le più influenti del pensiero cristiano del Novecento e nume tutelare degli studi nelle facoltà cattoliche,  il teologo luterano Bonhoeffer – che partecipò alla Resistenza contro il nazismo e fu ucciso nel campo di concentramento di Flossenbürgnel 1945 – è  il principale teorico del «cristianesimo adulto» in cui si concepisce la storia del cristianesimo in chiave evolutiva, come un passaggio dall’età dell’infanzia all’età maggiore in un processo che individua nella mondanizzazione la propria «maturità». Il cristiano «adulto» sarebbe quello che abbraccia il mondo, o meglio nel mondo si immerge e si immedesima, trovando in questa mondanizzazione – per  dirla con la sintesi delle proposte elaborate dal  cammino sinodale torinese – la propria «adultità». Quella che Bonhoeffer definisce la «maturità del mondo» (die Mundigkeit der Welt) si raggiunge con l’espulsione del sacro da ogni ambito sociale e con l’estirpazione delle radici cristiane della società. Alle sue posizioni Augusto Del Noce dedicò alcune acute analisi nella sua raccolta di saggi L’epoca della secolarizzazione dove descrive l’esperienza del teologo protestante come la teorizzazione di un cristianesimo senza religione, cogliendo come la crisi della Chiesa cattolica di oggi «sta nell’invasione progressista e modernista che fatalmente deve portare alla teologia della morte di Dio e fatalmente a quella demitizzazione per cui la società religiosa si risolve in una società laica». A tale traguardo i nostri fratelli riformati ci sono arrivati, noi siamo sulla buona strada.

Sul settimanale diocesano torinese La Voce e il Tempo è apparso un commento alle letture della domenica dell’Ascensione da parte del diacono Francisc Benedic. Ci permettiamo di rivolgergli  alcune piccole rispettose osservazioni: 1) il Mistero Pasquale non è «il passaggio di Gesù dalla  dimensione storica alla dimensione divina»; Gesù è Dio dal primo istante del concepimento nel grembo verginale di Maria SS.ma, non lo diventa con la Risurrezione; 2) gli apostoli hanno professato la  fede messianica ben prima della Risurrezione; 3) Gesù non è solo «uomo come noi», ma va sempre specificato «eccetto il peccato» e che la Sua persona è divina, non umana. Due nature, umana e divina in una sola persona: il Logos di Dio; 4) le Scritture non c’erano all’inizio della missione apostolica. C’era la Tradizione viva della Chiesa, nel solco della quale lo Spirito Santo ha donato le Scritture per la mediazione degli autori sacri; 5) non si può affermare che la narrazione evangelica «non è un racconto di cronaca» svuotando l’Ascensione di ogni dimensione storica. Dati anche tutti i dettagli del racconto, c’è stato un fatto storico, narrato con un linguaggio certamente insufficiente, talora ingenuo come sempre quando si parla del Mistero; 5) la vita cristiana non è «raggiugere la Trascendenza» ma la consapevolezza che Dio, il Trascendente, ci ha raggiunti in Gesù Cristo e che la Sua presenza permane viva nel mondo attraverso la Chiesa: la Sua voce attraverso la Parola proclamata, i suoi gesti attraverso i Sacramenti, Lui stesso nell’Eucaristia.

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