NEMICI CARISSIMI

Di Maio "simpatizza" con Lo Russo
(e ad Appendino sale la bile)

Il pentaforlaniano fa breccia persino nel più acerrimo nemico dei grillini. "Ti ho fatto i complimenti sul giornale", ammicca il ministro facendo gongolare il sindaco. Messaggio in codice per Chiara troppo "contiana"?

Un incontro “cordiale”, qualche battuta estemporanea. Nessun imbarazzo. Ci ha tenuto Luigi Di Maio a far sapere quanto avesse apprezzato l’organizzazione del Consiglio d’Europa da parte dell’amministrazione di Torino. E il faccia a faccia con il sindaco Stefano Lo Russo è stato nel segno del più reciproco rispetto, chi ne ha catturato qualche istantanea si è spinto a parlare addirittura di simpatia tra i due. D'altronde non sono così dissimili: uno è considerato il più forlaniano dei grillini, l'altro ha mangiato pane e politica e s'è abbeverato alla fonte degli ultimi capi della Dc subalpina a partire dal suo maestro, Gianfranco Morgando. “Ti ho fatto anche i complimenti sul giornale, hai visto?” gli ha detto il numero uno della Farnesina, “Ho visto” ha annuito l’altro mal celando un ghigno di soddisfazione. Prima un incontro istituzionale a Palazzo Madama, all’arrivo delle delegazioni dei ministri degli esteri del Consiglio d’Europa, poi i due non si sono negati uno scambio al Salone del Libro dove Di Maio si è presentato in qualità di “ospite” mentre la sua compagna Virginia Saba faceva da moderatrice a un incontro nello stand della Regione Sardegna.

C’è un confine sottile tra la cortesia istituzionale e un’intesa personale e i due pare lo abbiano varcato in questi giorni torinesi. Relazioni internazionali e politica interna s’intersecano in una città che è stata crocevia di un Movimento che nel 2016 inaugurava la sua “transizione” verso i palazzi del potere eleggendo due sindache a capo della prima e dell’ultima capitale d’Italia.

Di Maio è ormai impegnato quotidianamente in una disputa sotterranea con Giuseppe Conte, diventato il capo del Movimento 5 stelle sull’onda di una notorietà ottenuta proprio grazie a quel partito che lo ha piazzato un po’ per caso, un po’ per sbaglio a Palazzo Chigi. Una guerra di logoramento tra chi vuole interpretare l’evoluzione di un partito che alla fondazione era ben altra cosa e chi prova faticosamente a restare in sella grazie a quella notorietà acquisita in tre anni da premier. E mentre Conte ondeggia quotidianamente alla ricerca di una linea (politica), Di Maio è l’interprete di un percorso che lo ha portato anche a fare pubblica ammenda su quegli scivoloni istituzionali commessi nei suoi primi mesi di mandato, dalla richiesta di impeachment a Sergio Mattarella alla solidarietà ai gilet gialli francesi: “Non lo rifarei più”.

Ed è forse anche con gli occhi di chi osserva da mesi i travagli interni al mondo pentastellato che può essere interpretato un rapporto fatto di simpatia reciproca sin dal giorno del primo faccia a faccia, a marzo, in occasione della missione romana di Lo Russo nella Capitale. Messaggi, segnali. Nella città in cui i grillini sono i primi oppositori del Pd, il più alto in grado dei loro ministri celebra il sindaco dem e fa in modo che i suoi apprezzamenti non passino inosservati. Roba da far andare di traverso anche un bicchiere d’acqua alla povera Chiara Appendino, che oggi collabora fattivamente nella squadra di Conte, dov’è responsabile della Formazione, e teme a tal punto il dimenticatoio che non perde occasione per rivendicare i propri meriti per ogni nastro che taglia il suo successore. I fili s’intrecciano e prima o poi i nodi verranno al pettine. Questo non è ancora il tempo dello scontro. Mentre lo statista di Volturara Appula cerca un’intesa con il Pd, Di Maio gli dimostra che grazie al ruolo e all’arte diplomatica appresa in mezzo a tante feluche, sa tessere relazioni anche con chi ha combattuto i Cinquestelle per un lustro e più.

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