SANITÀ

Emorragia di medici in ospedale,
duemila in meno entro il 2024

Pensionamenti e abbandoni ipotecano la sanità del Piemonte. Gallone (Anaao): "Mandare gli specializzandi in corsia". Icardi: "Lo abbiamo chiesto al Governo", ma le Università fanno resistenza. Troppi burocrati in camice bianco. E la Val D'Aosta fa dumping

Nel giro di due anni gli ospedali del Piemonte perderanno non meno di 2mila medici. Tra chi va in pensione e chi decide di lasciare i reparti per esercitare altrove la professione, l’emorragia di camici bianchi rappresenta un concreto e gravissimo rischio per il sistema regionale. E non consola il fatto che il fenomeno riguardi, pur con dimensioni differenti da regione e regione, tutto il Paese come attesta lo studio dell’Anaao-Assomed che prevede una carenza di 40mila camici bianchi entro la fine del 2024.

“Duemila medici in meno è un numero enorme che, con le norme attuali non potrà essere colmato neppure in dieci anni”. È la fosca previsione di Gabriele Gallone, segretario organizzativo nazionale del principale sindacato dei camici bianchi ospedalieri, nonché medico al San Luigi di Orbassano. “Di fronte a una situazione di tale gravità, servono provvedimenti rapidi e risolutivi”, spiega chi, ai suoi tempi, è diventato specialista lavorando in corsia e oggi proprio a quell’esperienza guarda come a una delle soluzioni per fronteggiare l’imminente depauperamento degli organici che non consente rimedi a lungo termine. 

“Prendere la specialità mentre di lavora e non solo il Università è il metodo utilizzato nella gran parte dei Paesi europei e credo che questa sia la strada da imboccare per colmare i vuoti che si producono con pensionamenti e abbandoni, senza sminuire la formazione, anzi arricchendola ulteriormente”. La prospettiva che delinea Gallone sfonda una porta aperta per l’assessore alla Sanità: “Da tempo stiamo chiedendo al Governo, come Conferenza delle Regioni, di rivedere la norma e consentire l’impiego degli specializzandi fin da subito e ancor prima negli ospedali”, spiega Luigi Icardi. Sindacato e Regione, in questa circostanza, sulla stessa linea. Ma c’è chi alla richiesta oppone una resistenza, fino ad rivelatasi efficace. 

Bisogna guardare alle Università per trovare una delle ragioni per cui la possibile soluzione al disastro che si annuncia negli ospedali piemontesi, peraltro non certo messi bene già ora quanto a personale. E forse una spiegazione a quel muro alla specializzazione “anche” in ospedale la si trova nell’aumento della clinicizzazione di reparti ospedalieri, ovvero la trasformazione di alcune strutture complesse nei nosocomi in clinica universitaria con a quel punto sì la possibilità di impiegare gli specializzandi, ma anche con il passaggio nelle sole mani dell’ateneo delle nomine dei primari, eludendo i concorsi previsti per le strutture pubbliche. “È ora di togliere gli specializzandi dalle grinfie delle Università”, dice senza giri di parole Gallone. 

C’è da sostituire chi se ne va, ma anche cercare di evitare che molti voltino le spalle agli ospedali volgendo lo sguardo altrove, dal privato fino alla medicina di base. Nel 2021 in Piemonte a lasciare il posto in ospedale, non per motivi di età, sono stati 331 professionisti su un totale di 8.186. Il triste primato di abbandoni con l’8,1% l’Asl Alessandria, l’ospedale con meno dimissioni, appena 2, il Mauriziano. (TABELLA) “Se per i pensionamenti o errori di programmazione della formazione non possiamo fare tanto, per trattenere i medici che volontariamente si licenziano per cercare migliori condizioni lavorative, si potrebbe cercare in tutti i modi di capire quali sono le esigenze e venire incontro a professionisti che sono ossigeno per il sistema sanitario regionale”, osserva Chiara Rivetti, segretario regionale di Anaao-Assomed

 “È necessario valorizzare le professionalità, cercare di conciliare, per quanto la legislazione consente, i tempi di vita ed i tempi di lavoro, per esempio concedendo i part time. Bisogna far sentire i medici parte di un progetto e di un sistema non solo pedine da spostare per coprire i turni”.

Ma c’è anche altro con cui fare i conti: in Valle d’Aosta un medico guadagna mediamente 700 euro netti in più al mese e la Regione Autonoma ha pure previsto facilitazioni per l’alloggio. Una sorta di dumping che sta pesando sul confinante Piemonte. Una concorrenza difficile da contrastare. Così come quella che porta sempre più spesso medici a varcare la soglia di cliniche private o, non dirado, passare dalle corsie all’ambulatorio del medico di famiglia. Un problema da risolvere senza eludere situazioni che si trascinano da troppo tempo. È il caso di alcune strutture burocratiche dove ci sono troppi medici che potrebbero, invece, lavorare nei reparti. “Basterebbe copiare dall’Inghilterra o dalla Francia dove queste situazioni non esistono. Il problema è che a livello regionale nessuna delle grandi teste pensanti lavora sul campo e conosce i problemi. Basta guardare al Csi, il consorzio informatico regionale che anziché risolvere i problemi, li crea con sistemi complicati e poco efficienti.

Eppure si continua ad affidare tutto al Csi. Per quanto riguarda la burocrazia in camice bianco, se c’è la volontà a livello regionale si può intervenire per snellirla, riportando medici a occuparsi dei pazienti anziché delle scartoffie. C’è chi ha fato carriera senza sapere nulla di sanità”.

Questione quella dei troppi medici burocrati (in ruoli di potere e spesso più remunerati rispetto ai colleghi che lavorano in reparto) che si trascina, passando indenne, da una giunta regionale all’altra, da un colore politico all’altro. “Un problema oggettivamente non facile da risolvere”, ammette Icardi. C’è chi racconta che parlando delle questione l’assessore un giorno allargò le braccia e disse “Ci vorrebbe un Thomas Schael in ogni Asl”. Il fatto è che non tanti cloni, ma neppure l’originale del “tedesco”, mastino dei conti di Agenas e terrore dei direttori generali durante il piano di rientro, sta in corso Regina. 

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